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Venerdì, 29 Marzo 2024
Ambiente Ravenna

Legambiente, la denuncia shock: i mari italiani invasi dalle trivelle inutili

Il dossier presentato durante la tappa di Goletta Verde a Marina di Ravenna. "In mare 135 piattaforme, ma 38 di queste sono ormai inutili". La denuncia: "Le compagnie petrolifere non vogliono pagare gli oneri di smantellamento". Lanciata la campagna #dismettiamole

ROMA - Sono lì da decenni, molte anche a poche miglia dalla linea di costa, tanto da essere ben visibili ad occhio nudo. Invadono principalmente l'Adriatico, ma pure il mar Ionio e il canale di Sicilia. Con una certezza: la corsa all'oro nero nei nostri mari è tutt'altro che terminata. Legambiente ha censito - tra le 69 concessioni di coltivazione di gas e petrolio - ben 135 piattaforme a mare e 729 pozzi. Di queste 38 piattaforme e 121 pozzi hanno ormai terminato la loro attività produttiva o erogano ormai talmente poco da far suppore che le compagnie stiano semplicemente ritardando la loro chiusura formale e, di conseguenza, l'obbligo e gli oneri di smantellamento e ripristino iniziale dei luoghi, come previsto dalla normativa. 

LA CAMPAGNA #DISMETTIAMOLE - È per questo che Legambiente lancia la campagna #Dismettiamole, affinché si affermi un nuovo modello energetico pulito, rinnovabile e democratico, che faccia gli interessi dei cittadini italiani e non delle compagnie petrolifere. Il dossier #Dismettiamole è stato presentato lunedì mattina a Marina di Ravenna, in occasione della tappa della Goletta Verde, la storica campagna a tutela dei mari e delle coste italiane che sta per terminare il suo periplo della Penisola.

LA DENUNCIA - "Più volte hanno provato a rassicurarci ma, come volevasi dimostrare, nuovi pozzi, dentro e fuori le aree vincolate, e nuove attività di ricerca, estrazione e prospezione continuano a mettere a rischio il mar Adriatico, lo Ionio, il Canale di Sicilia e il mar di Sardegna" ha dichiarato il responsabile scientifico di Legambiente, Giorgio Zampetti

Occorre evitare che nuovi tratti di mare siano coinvolti dall'impatto di queste attività, ma riteniamo sia giunto anche il momento di mettere in campo una strategia che si ponga l'obiettivo di dismettere le piattaforme presenti nel mar Mediterraneo e in quello italiano in particolare. 

ITALIA INDIETRO - "In altre parti del mondo questo processo di cambiamento è già cominciato, basti pensare alle vicine Francia e Croazia che stanno dando il via ad una moratoria generale" ha continuato Zampetti. "L'Italia invece rimane l'unica ad avere un così alto numero di attività vicine alla propria costa a vantaggio esclusivamente delle compagnie petrolifere, perché è evidente che, in gran parte, si tratta di impianti assolutamente non strategici né dal punto di vista energetico, né economico, mentre continuano a tutti gli effetti a mettere a rischio l'ecosistema marino e le altre attività legate al mare".

Manifestazione contro le trivellazioni alle isole Tremiti

LA SITUAZIONE NELL'ADRIATICO - Non solo i vecchi impianti a mettere in pericolo il mare, il suo ecosistema e le attività economiche ad esso collegato. Perché il rischio di nuove trivellazioni e nuovi impianti è dietro l'angolo. A largo dell'Emilia-Romagna - chiarisce Legambiente - ci sono 22 concessioni di coltivazione attive e produttive che hanno estratto gas nel 2015 per 1,6 miliardi di standard metri cubi (esattamente 1.599.723.000), il 35,4% della produzione a mare totale. Solo 6 concessioni su 22 pagano le royalties, le altre stanno sotto quota 80milioni di smc. Esistono anche 3 concessioni di coltivazione non produttive (di cui una una piattaforma che per Legambiente può essere dismessa: la Morena 1 di fronte Cervia/Cesenatico); due istanze di concessione di coltivazione (una è quella della Po Valley); tre permessi di ricerca attivi di cui due sospesi da venti. Infine una istanza di permesso di ricerca tra Cervia e Fano per 430,8 kmq dell'Adriatic Oil.

mappa-trivelle-2016-2

I DATI ITALIANI - In totale, nei mari italiani, ci sono ben 7.254,5 chilometri quadrati destinati alle attività di ricerca, e 15.362,6 kmq interessati da nuove richieste.Rientrano infine tra le future possibile minacce per i mari italiani anche le otto istanze di permesso di prospezione, delle indagini geofisiche altamente impattanti in quanto eseguite mediante la tecnica dell'airgun, per un totale di quasi 95mila chilometri quadrati di mare.
 

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