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Giovedì, 28 Marzo 2024
Animali

Arriva in Cassazione la vicenda giudiziaria dell'allevamento Green Hill

I Supremi Giudici dovranno esprimersi sul ricorso presentato dagli avvocati che difendono gli imputati dell'allevamento di cani destinati alla vivisezione, denunciato nel 2012. La Lav auspica il rigetto in linea con quanto stabilito dalle precedenti sentenze

Terzo grado di giudizio per la vicenda di Green Hill, l'allevamento del bresciano per cani di razza beagle destinati alla sperimentazione, di proprietà della multinazionale Marshall. Martedì 3 ottobre i giudici della Terza Sezione della Suprema Corte di Cassazione si esprimeranno sul ricorso presentato dai legali del responsabile dell'allevamento, denunciato nel 2012 e i cui 2636 cani furono sequestrati. 

In conseguenza dei due processi condotti dal Tribunale di Brescia, i vertici dell’allevamento di beagle sono stati condannati per “maltrattamenti e uccisioni senza necessità”, sia in primo grado che in appello, alla pena di 1 anno e 6 mesi di reclusione per il medico veterinario e il co-gestore di “Green Hill 2001”, mentre il direttore dell'allevamento è stato condannato a 1 anno e al risarcimento delle spese. Per i condannati, inoltre, attività sospesa per due anni e confisca dei cani.

"Certi della solidità delle prove a carico degli imputati, della rigorosa e scrupolosa interpretazione delle norme di riferimento - ha fasapere la LAV in una nota - auspichiamo che la Corte di Cassazione voglia dichiarare l'inammissibilità e/o comunque respingere il ricorso proposto, confermando la sentenza impugnata in ogni sua parte, compresa quella relativa alla confisca, ex art. 544sexies c.p., dei numerosissimi beagle ancora in sequestro e affidati dall’estate 2012 a famiglie volenterose sparse su tutto il territorio nazionale".

Come ha spiegato l'avvocato Carla Camparo, difensore della LAV, durante la sua precedente arringa: “A Green Hill essere uccisi era un lusso perché i cani venivano semplicemente lasciati morire: non vi era alcun interesse a curare i cani malati. Le terapie erano costose e comunque avrebbero potuto alterare i parametri delle sperimentazioni. I beagle erano quindi semplicemente lasciati morire (basti pensare che dalle ore 18 alla mattina successiva nessun presidio sanitario era garantito) o sacrificati”.

Negli ultimi anni la sensibilità collettiva verso gli animali si è fortemente accresciuta, tanto che cani e gatti sono parte della famiglia per un numero sempre più ampio di persone – conclude  la LAV – Altrettanto emblematico di una evoluzione in atto, è il divieto di allevare cani a fini sperimentali e altre limitazioni, introdotto nel nostro Paese nel 2014 con il Decreto Legislativo n.26/2014 sulla sperimentazione animale, in conseguenza del quale Green Hill non può riaprire: un cambiamento normativo storico, il cui dibattito politico era molto intenso proprio all’epoca del sequestro di Green Hill. In considerazione di questa sensibilità collettiva più matura, la giurisprudenza – e così si è espresso il Tribunale di Brescia nel condannare Green Hill - non può considerare 'normale' il maltrattamento ad animali destinati ad attività produttive: non è normale che i cani fossero costretti a ingerire/respirare segatura come accaduto ai beagle, né che fosse presente un solo veterinario per quasi 3mila cani, tutti aspetti oggetto delle due sentenze di condanna emesse a carico di Green Hill”.

La LAV ricorda che, dopo questa attesa pronuncia, il 22 novembre il Tribunale di Brescia dovrà esprimersi nel cosiddetto processo “Green Hill bis” che vede imputati due veterinari Asl per falso ideologico, omissioni e alcuni dipendenti della società per falsa testimonianza: sarà un’occasione importante per accertare complicità e omissioni in maltrattamenti e uccisioni “facili”.
 

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