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Sabato, 20 Aprile 2024
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Chiudere i porti ai migranti è possibile?

Cosa prevede la normativa, quali sono gli obblighi e le norme sui salvataggi in mare secondo il diritto italiano e internazionale

Continua il braccio di ferro tra Italia e Malta su Aquarius, la nave della Ong Sos Mediterranée con a bordo 629 migranti dopo che il ministro dell'Interno Matteo Salvini ha ordinato di chiudere i porti italiani per impedirne l'attracco. Dal canto suo Malta sostiene di non avere "competenza" su questo caso perché il recupero dell'imbarcazione "è avvenuto nell'area di ricerca e salvataggio libico" ed è stato coordinato dal centro di Roma. 

Ma l'Italia ha davvero il potere di chiudere i porti e non far attraccare le navi con a bordo i migranti?

La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (approvata nel 1982 e ratificata dall’Italia nel 1994) stabilisce all’articolo 19 che il passaggio di una nave nelle acque territoriali di uno Stato è permesso "fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero". Il comma 2 precisa poi che tra le attività che potrebbero portare a considerare il passaggio come offensivo c’è anche "il carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero". Quindi se la nave Aquarius è sospettata di violare le leggi sull'immigrazione italiane può essere fermata.  

Il soccorso è obbligatorio

Leggendo nello stesso documento, all'articolo 98, la Convenzione sui diritti del mare stabilisce quanto segue: 

Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri:
a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo;
b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa;
c) presti soccorso, in caso di abbordo, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata, e qual è il porto più vicino presso cui farà scalo.
 

Il programma di assistenza e salvataggio

La convenzione di Amburgo del 1979 e altre norme sul soccorso marittimo impongono agli stati costieri del Mediterraneo di mantenere un servizio di SAR (un programma di assistenza e salvataggio), coordinati tra loro. Il governo maltese, responsabile di una zona vastissima, si è avvalso finora della cooperazione dell'Italia per pattugliare la propria aerea di responabilità e da prassi il Centro di coordinamemento regionale SAR maltese non risponde alle imbarcazioni che la contattano né interviene se interpellato da quello italiano. Tuttavia la mancata risposta delle autorità maltesi non esime la singola imbarcazione che ha avvistato il natante in panne all'intervenire. L'imbarcazione in questione, a seguito dalla mancata risposta o del rifiuto della SAR maltese, chiederà di prassi l'intervento della SAR italiana che coordinerà l'intervento. Quindi, in caso di soccorso di migranti in mare, da parte di Ong o navi mercantili, e dopo aver attivato l’intervento della nostra Guardia Costiera, bisogna stabilire il “place of safety”, il cosiddetto luogo sicuro.

La nave Aquarius di Sos Mediterranée

La questione del "porto sicuro"

Per l’Italia, il “place of safety” è determinato dall’Autorità Sar in coordinamento con il ministero dell’Interno. Per "porto sicuro" si intende il luogo in cui può essere garantita l'assistenza sanitaria dei sopravvissuti ma anche il rispetto della loro garanzie fondamentali, ad esempio quello di non essere sottoposti a torture o poter presentare la domanda di protezione internazionale. 

L’individuazione di tale luogo spetta alla SAR che coordina la singola azione di salvataggio, salvo che ci si trovi nelle acque territoriali dove resta la competenza esclusiva dello Stato costiero ma non sempre il luogo sicuro è lo Stato costiero più vicino al luogo ove avvengono le operazioni di soccorso. Ad esempio, la Libia non è considerata dall'UNHCR un porto sicuro. La stessa Malta non sarebbe in grado di occuparsi efficacemente delle persone sbarcate.

Ma è possibile chiudere i porti alle navi private che hanno effettuato il soccorso? Come spiega il Corriere della Sera, lo stato costiero, nell’esercizio della propria sovranità, ha il potere di negare l’accesso ai propri porti. Le convenzioni internazionali sul diritto del mare, pur non prevedendo esplicitamente l’obbligo per gli stati di far approdare nei propri porti le navi che hanno effettuato il salvataggio, impongono e si fondano sull’obbligo di solidarietà in mare, che sarebbe disatteso qualora fosse negato l’accesso al porto di una nave con persone in pericolo di vita, appena soccorse e bisognose di assistenza immediata. 

Violazioni della Convenzione Europea di Diritti dell'Uomo

In ogni caso la chiusura dei porti comporterebbe la violazione di norme internazionali sui diritti umani e sulla protezione dei rifugiati, a partire dal principio di non refoulement sancito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra. Il rifiuto di accesso ai porti di imbarcazioni che abbiano effettuato il soccorso in mare può comportare la violazione degli articoli 2 e 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), nel caso che le persone soccorse abbiano bisogno di cure mediche urgenti e di generi di prima necessità (acqua, cibo, medicinali), che e tali bisogni non possano essere soddisfatti per effetto del concreto modo di operare del rifiuto stesso. Il rifiuto, aprioristico e indistinto, di far approdare la nave in porto comporta l’impossibilità di valutare le singole situazioni delle persone a bordo, e viola il divieto di espulsioni collettive previsto dall’art. 4 del Protocollo n. 4 alla CEDU.

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