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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Coronavirus "sotto controllo", non c'è pressione sugli ospedali: ma occhi puntati sui tumori

Il virus oggi sembra sotto controllo, non c'è più alcuna pressione sugli ospedali. L'emergenza coronavirus avrà ripercussioni però sui rischi di cancro, ha ritardato tutti i programmi di screening: possibile un numero più grande di casi avanzati secondo gli esperti

Negli ospedali italiani il calo di ricoveri per Covid-19 è continuo, da settimane e settimane. La fase acuta dell'emergenza è alle spalle. Continuano a diminuire i pazienti ricoverati in terapia intensiva, meno di 500 in tutta Italia. E' di centinaia unità al giorno anche il calo quotidiano delle persone ricoverate con sintomi.

Sugli ospedali non c'è più la pressione di marzo, "partirei da qui per dire che il virus al momento è sotto controllo, ma questo non significa che dobbiamo abbassare la guardia". Lo dice Luca Richeldi, pneumologo del Policlinico Gemelli di Roma e componente del Comitato tecnico scientifico, in un'intervista a "Il Sole 24 ore". "Come medico e cittadino trovo incoraggiante che non arrivino notizie di ospedali sotto pressione compresi quelli lombardi", continua Richeldi.

Non sono solo i numeri che arrivano dalle strutture sanitarie a confortare: "A parte la minore pressione sugli ospedali che ci conforta - aggiunge il medico - ora abbiamo anche un sistema di monitoraggio dei dati condiviso tra Regioni, ministero della Salute e Iss che ci permette di monitorare costantemente la situazione e quindi prendere rapidamente  le misure necessarie che dovessero servire. E poi è cresciuta la capacità delle Regioni di scoprire nuovi casi, compresa la Lombardia  al di là delle polemiche che sono inutili". Per quanto riguarda le riaperture, spiega, "è chiaro che nella mia professione prevale sempre la cautela. Forse si può aspettare ancora di più. Credo però che si tratti di un rischio calcolato che la politica, a cui spetta questo tipo di scelte, può assumere sulla base di dati che non sono allarmanti".

"Il virus - continua - circola di meno grazie al lockdown che è stato efficace così come ora aiuta il distanziamento e l'uso delle mascherine. Meno virus che circola significa meno casi e anche meno esposizione e quindi meno carica infettante che è ridotta e quindi si hanno casi meno gravi". Che cosa succederà nelle prossime settimane e soprattutto quando tornerà la stagione fredda? Man mano che la pressione sui pronto soccorso è diminuita sono diminuiti anche i ricoveri. Ma il ritorno alla normalità sarà in realtà la creazione di una nuova normalità per gli ospedali, poiché le precauzioni da mantenere per l’accesso ai reparti e la gestione dei pazienti positivi o sospetti impattano sulla disponibilità di posti letto e sulla gestione delle nuove aree di degenza. 

L'emergenza coronavirus avrà ripercussioni anche sui rischi di cancro

Gli ospedali ovunque stanno mantenendo attrezzate le degenze e le rianimazioni per gestire un'eventuale seconda ondata. Uno sforzo importante per tutte le strutture sanitarie, che nell’immediato non consente agli ospedali di tornare esattamente com’erano prima dell’epidemia, ma è un atto dovuto per una sanità pubblica efficace e competente, che ha dimostrato di saper affrontare sfide importanti, dando risposte altrettanto importanti. In tal senso c'è anche un altro aspetto sanitario che non può essere trascurato. L'emergenza coronavirus avrà ripercussioni anche sui rischi di cancro: "Ha ritardato tutti i programmi di screening. Quelle attività che hanno come obiettivo di intercettare i tumori al loro inizio. Probabilmente, nei prossimi mesi, quando riprenderanno, ci troveremo di fronte a un numero più grande di casi avanzati, meno curabili e meno guaribili" . Parola di Giuseppe Curigliano, direttore della Divisione nuovi farmaci allo Ieo, l'Istituto europeo di Oncologia a Milano e professore di Oncologia medica all'Università, intervistato dal Corriere della Sera.

"Il fatto di avere un tumore rappresenta un fattore di rischio che rende più grave l'infezione da coronavirus", spiega Curigliano citando gli studi realizzati sul tema e sottolineando la necessità, per il futuro, di "un potenziamento della medicina territoriale, i family doctors, come li chiamano gli anglosassoni. I nostri medici di medicina generale. Quelli che dovrebbero intercettare i segnali di malattia, inviare i pazienti allo specialista, ma poi riprenderseli in carico quando devono seguire le terapie".

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