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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Coronavirus, l'insidiosa eredità del Covid-19: lo studio italiano sui "reduci"

Ormai la chiamano sindrome post-Covid-19: i risultati dello studio condotto da geriatri del Policlinico Gemelli e dell’Università Cattolica sui reduci della malattia da nuovo coronavirus fa luce sugli effetti a lungo termine dell'infezione virale

Fanno fatica a respirare, alcuni non si alzerebbero neppure dal letto: sembra di trovarsi di fronte a quella che i medici già chiamano un’epidemia di sindrome da stanchezza cronica. È quella che affligge i reduci dal coronavirus: i pazienti accusano sintoni per settimane, se non addirittura per mesi dopo il doppio tampone negativo.

A far luce sulla sindrome post-Covid-19 ci pensa una ricerca appena pubblicata sulla rivista scientifica internazionale JAMA da un gruppo di geriatri della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e dell’Università Cattolica, campus di Roma, che fa il punto della situazione e chiarisce alcuni inquietanti aspetti.

Per tutti i reduci del Covid-19 la qualità di vita è risultata peggiorata.

Se i sintomi dell’infezione da nuovo coronavirus sono noti (tosse, febbre, dispnea, mialgie, dolori articolari, fatigue, sintomi gastrointestinali, disturbi dell’olfatto e del gusto) molto meno note sono a tutt’oggi le sequele a lungo termine della malattia. Ma come dimostra il lavoro appena pubblicato su JAMA, gli effetti a lungo termine sono tutt’altro che rari e soprattutto invalidanti.

sintomi post covid-2

In particolare è l’assoluta mancanza di forze a preoccupare gli ex-pazienti: si va da quelli che non riescono a fare neppure un piano di scale, a quelli che dormirebbero tutto il giorno. Sembra un’epidemia di sindrome da stanchezza cronica e nessuno sa dire al momento quanto è destinata a persistere. I pazienti sono debilitati; qualcuno fa fatica a respirare perché i muscoli della respirazione non hanno la forza sufficiente a svolgere la loro funzione. In queste condizioni, anche alzarsi dal letto richiede uno sforzo titanico. E c’è chi confessa di aver pensato di avere una malattia mentale, finché non si è confrontato con persone che provavano i suoi stessi disturbi. All’estero sono addirittura nati dei gruppi di auto-sostegno. Gli ‘ex-Covid’ richiedono supporto, sia a livello fisico che psicologico per accompagnare la loro lunga convalescenza. E la sindrome post-Covid non risparmia nessuna età.

A firmare lo studio Angelo Carfì e Roberto Bernabei del Policlinico Universitario Gemelli insieme a Francesco Landi, docente all'Università Cattolica: sotto esame sono stati circa 150 pazienti che hanno trascorso gli ultimi mesi presso il Day Hospital post-Covid del Gemelli IRCCS a partire dal 21 aprile scorso.

"Solo 1 su 10 non presentava sintomi correlabili alla malattia iniziale. La maggior parte (87%) riferiva della persistenza di almeno un sintomo, soprattutto stanchezza intensa (53,1%) e affanno (43,4%). Il 27,3% lamentava dolore alle articolazioni e uno su 5 dolore toracico" spiegano gli autori. 

“Il messaggio importante – afferma il professor Francesco Landi, responsabile del Day Hospital post-Covid - è che tutti i pazienti che hanno avuto Covid-19 e soprattutto quelli colpiti dalle forme più gravi, che hanno richiesto un ricovero in rianimazione o che hanno avuto bisogno di ossigenoterapia, devono essere sottoposti a controlli multi-organo nel tempo. Inoltre devono essere valutati attentamente rispetto alla persistenza di alcuni sintomi".

"Siamo di fronte a una malattia nuova, sconosciuta ed è quindi importante cercare di individuare gli eventuali danni a breve o a lungo termine".

Coronavirus e danni a lungo termine: forse c'è una buona notizia

Dalla ricerca emerge anche una buona notizia: la maggior parte dei pazienti non presenta quei danni d’organo che i medici temevano a livello di polmoni, occhi, cuore, fegato.

"Quello che stiamo riscontrando – prosegue il professor Landi -  è invece una frequente persistenza di sintomi, anche soggettivi come quello della ‘stanchezza’, che meritano di essere presi in considerazione. Questo è importante per individuare e al tempo stesso supportare questi pazienti con un programma di ‘rieducazione’ fatto di ginnastica supervisionata, educazione alimentare". Esiste già un protocollo di esercizi modulabile sui singoli pazienti che offre l’opportunità di uscire dalla sedentarietà, attraverso una ginnastica controllata. Importante anche la gestione dei disturbi della sfera psichica di questi pazienti, molti dei quali (fino al 20%) presentano un vero e proprio disturbo post-traumatico da stress. Fondamentale, infine, ripristinare una corretta alimentazione; molti pazienti presentano ancora disturbi dell’appetito, altri hanno una franca perdita di massa muscolare (sarcopenia).

I ‘reduci’ di Covid-19 e il Day hospital dedicato al Policlinico Gemelli

Molti pazienti guariti, anche a distanza di settimane dalla dimissione, continuano a lamentare disturbi, a non stare bene. Al punto di non riuscire a riannodare i fili del discorso con la vita di prima, quella sociale, come quella lavorativa. E non sorprende. Covid-19 è una malattia nuova, un work in progress di conoscenze che si costruisce giorno per giorno. Per questo sono così preziosi i Day Hospital post-Covid, come quello della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. Qui, un team multidisciplinare si occupa dei ‘reduci’ del COVID. Internisti, geriatri, gastroenterologi, infettivologi, pneumologi, microbiologi, neurologi, oculisti, otorini, pediatri, psichiatri, radiologi, reumatologi, angiologi (coordinati dai professori Roberto Bernabei, Massimo Fantoni e Antonio Gasbarrini e sotto la direzione dei professori Francesco Landi ed Elisa Gremese) lavorano ogni giorno fianco a fianco per scrivere questo capitolo inedito della medicina e soprattutto per aiutare questi pazienti a relegare in un angolo della loro storia esistenziale l’incontro con il nuovo Coronavirus.

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