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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Coronavirus, ipotesi apertura differenziata per regioni: ma come sta l'Italia dopo due mesi?

Il 20 febbraio i primi casi accertati. L'epidemiologo Rezza: "Oggi l'Italia sta meglio, ma è giusto continuare a essere preoccupati". Il ministro Patuanelli: "Ragionare su una regionalizzazione delle riaperture, nelle regioni con meno casi è più facile tracciare i contatti"

Quando inizia la fase 2? La data del 4 maggio 2020 sarà quella delle prime vere riaperture in tutta Italia? "C'è una concentrazione forse sbagliata su chi e quando" riaprire, "sono due temi certamente importanti, chi può aprire e quando, ma la prima domanda è il come". Così il ministro per lo Sviluppo economico Stefano Patuanelli ha risposto a una domanda di Fabio Fazio a "Che tempo che fa". "Si può ragionare su una regionalizzazione delle riaperture, nelle regioni che hanno meno persone positive è più facile tracciare i contatti" ha detto, parlando della fase 2. Tanti dubbi sulla possibilità in estate di andare al mare o in vacanza in generale. "Nella mia attività io cerco di mantenere un profilo di serietà e non mi sento di dare risposte che prevederebbero una sfera di cristallo. È chiaro che se le condizioni sanitarie non consentiranno ai nostri concittadini di andare in vacanza dovremo dire che non si può fare", ha affermato.

Il premier Conte aspetta lumi dalla task force di Colao e dal comitato tecnico scientifico per prendere decisioni, sulla scia di quanto fatto fino a oggi. Cautela massima. Non è nemmeno iniziata la fase 2 e l'emergenza non è affatto alle spalle. Sì, ci sono segnali molto confortanti dai bollettini quotidiani, soprattutto il calo dei ricoveri in terapia intensiva deve dare coraggio. Ma se prima di tutto viene la salute dei cittadini, bisogna ricordarsi che la fase 2 è quella della "convivenza, più che quella della ripartenza". In una lunga intervista al Corriere della Sera Luca Zaia, il presidente della Regione Veneto, afferma che "noi siamo pronti, non certo a prove di forza, ma a una fase di convivenza con il virus, secondo i dati esistenti, sia nostri che dei Paesi come la Cina e la Corea che hanno superato l'epidemia". Ci sono tre linee di pensiero, spiega Zaia: "La prima è tenere tutto chiuso finché il virus non scompaia, ma così rimarremmo senza ossigeno. La seconda è propria di chi dice che occorre una mediazione politica. La terza è di chi dice che occorre ripartire gestendo una fase di convivenza. Con le opportune protezioni abbiamo l'abbattimento dell'infezione gigantesco, anche per chi, come i medici, è in prima  linea".

Come sta l'Italia a due mesi esatti dal primo caso confermato di coronavirus in Italia a Codogno? "Due mesi dopo quel 20 febbraio, l'Italia sta decisamente meglio". Ora "è giusto voler tornare alla normalità, soprattutto per chi sta soffrendo economicamente. Però è anche giusto continuare a essere preoccupati. Abbiamo fatto molti progressi, abbiamo più posti nelle terapie intensive, si fanno più tamponi, ma d' ora in poi occorre agire sul territorio per identificare tempestivamente qualsiasi focolaio, perché il virus continuerà a circolare". Gianni Rezza, epidemiologo e direttore del Dipartimento malattie infettive dell' Istituto superiore di sanità, in un'intervista a "Repubblica" traccia un primo bilancio. Due mesi dopo l'Italia, spiega Rezza, sta "decisamente meglio. Lo dicono tutti gli indicatori: diminuiscono i nuovi casi, c'è meno pressione sugli ospedali e il famoso R0, l'indice di contagio, che nelle prime fasi dell' epidemia era superiore a 3 (ogni infetto contagiava in media più di tre persone, ndr ) oggi è di poco inferiore a uno". "Sfortuna ha voluto che l'epidemia esplodesse nella fase di picco influenzale - sottolinea Rezza - chi aveva il virus ma con sintomi lievi è stato scambiato per un malato d'influenza, solo i casi più gravi hanno fatto scattare l'allarme. Questo ritardo ha dato il tempo al Covid 19 di diffondersi. E poi nell'esito della battaglia ha contato l'impostazione dei Servizi sanitari nazionali, molti dei quali, anche a causa dei tagli alla sanità, erano impreparati".

Nel mondo sono oltre 165mila i morti con coronavirus e più di 2,4 milioni le persone che hanno contratto l'infezione. Sono questi gli ultimi dati della Johns Hopkins University, che parla di 2.404.325 contagi confermati al livello globale e 165.238 vittime. Solo gli Stati Uniti registrano 40.682 decessi e 759.687 casi.

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