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Giovedì, 28 Marzo 2024
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"Tamponi per un italiano su tre" ma un'analisi indipendente mostra come si testino meno persone

Il commissario Arcuri lodando la capacità di intercettare i focolai di coronavirus in Italia ha annunciato come entro fine 2020 il 28% della popolazione potrebbe essere stata sottoposta a un tampone (oggi è il 3%). Ma secondo la fondazione Gimbe i dati dicono ben altro

"A fine 2020 il 28% della popolazione italiana potrà essere sottoposta a un tampone" lo assicura il commissario straordinario per l'emergenza coronavirus Domenico Arcuri, nel corso della conferenza dalla sede della Protezione Civile, specificando come si ricorrerà ad uno così accurato screening epidemiologico "se sarà necessario o anche solo utile". Una precisazione doverosa anche alla luce dell'ultimo bollettino che ieri evidenziava come le persone complessivamente testate per coronavirus siano attualmente poco più di 2 milioni 497mila, di cui la maggior parte (458mila) in Lombardia. Si tratta di una percentuale prossima al 3% della popolazione residente in Italia. 

Arcuri oggi ha tuttavia affermato che la protezione civile potrebbe arrivare a testare quasi un italiano su tre. "Faremo tante 'fotografie', ma - tiene a sottolineare Arcuri - non ci stancheremo mai di dire che il tampone non è un passaporto sanitario di immunità, ma è una istantanea che ci dice se in quel momento il coronavirus ci ha colpito oppure no".

Di fatto anche le linee guida dell'Oms specificano che l'unico modo attualmente disponibile per proteggerci dal coronavirus è mettere in campo una grande capacità di screening per "testare, tracciare, (isolare) e trattare" tutti i casi Covid positivi. In assenza di un vaccino infatti la ripresa della mobilità offrirà nuove possibilità al virus di circolare tra la popolazione.

Ma l'Italia è davvero pronta a seguire i protocolli? No, almento secondo un'analisi indipendente portata avanti dalla fondazione Gimbe. Se Arcuri rivendica la stabile crescita della capacità di testare gli itailani fino a 89.000 tamponi al giorni, i dati della fondazione guidata da Nino Cartabellotta lo smentiscono. 

"Le nostre analisi dimostrano che nelle ultime 2 settimane, la percentuale dei tamponi diagnostici non solo non è stata potenziata, ma si è ridotta mediamente del 6%, seppur in misura variabile tra le Regioni".

Questo quanto si legge nel report settimanale della fondazione guidata da Nino Cartabellotta. Report in cui si sottolinea come se il dato è influenzato dall’avvio in alcune Regioni dello screening con test sierologici, tuttavia non esiste alcun monitoraggio nazionale, né una policy univoca tra le Regioni.

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La Fondazione GIMBE sottolinea in particolare come il Paese sia suddiviso in almeno 4 livelli di rischio: l'incidenza di nuovi casi per 100.000 abitanti è nettamente superiore alla media nazionale (13) in Lombardia (44), Liguria (36), Piemonte (26). Lo stesso report riporta inoltre come in Liguria la propensione all’esecuzione di tamponi rimanga al di sotto alla media nazionale.

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"È necessario non abbassare la guardia - sottolinea ancora Cartabellotta - il rischio di una seconda ondata dipende, oltre che da imprevedibili fattori legati al virus, dalle strategie di tracciamento e isolamento dei casi attuate dalle Regioni e dai comportamenti individuali. Se tuttavia l’improrogabile scelta di riaprire per rilanciare l’economia si è basata solo sull’andamento dei ricoveri e delle terapie intensive, è giusto dichiararlo apertamente ai cittadini con un gesto di grande onestà e responsabilità politica".

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