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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Coronavirus e fase 2, occhi puntati sulle terapie intensive: i motivi non sono scontati

È il dato che forse più di tutti andrà tenuto d'occhio con molta attenzione per verificare giorno dopo giorno come starà davvero evolvendo l'epidemia. I motivi non sono affatto scontati: per prendere decisioni che riguardano la salute pubblica, servono riferimenti affidabili

La fase 2 è dietro l'angolo, e trovare un equilibrio tra le esigenze di sicurezza e salute di tutti i cittadini, i rischi di una nuova ondata epidemica e la necessità di evitare ricadute economiche ancora più devastanti non è facile. Gli ultimi bollettini della Protezione Civile raccontano che c'è un vero grande dato drammatico, quello dei decessi: nelle ultime 24 ore sono stati 464. Il calo deciso dei morti non c'è, non ancora. I numeri di ieri però evidenziano anche spiragli di luce, come il più marcato calo dall'inizio dell'emergenza dei positivi "oggi rispetto a ieri" (-851). Anche il numero dei guariti (-3033) è il più alto di sempre, così come il calo dei ricoverati (-934).

C'è un altro dato che però andrà tenuto d'occhio con più attenzione di tutti gli altri, nelle prossime settimane: è il numero dei ricoveri in terapia intensiva. Sarà lì che dovremmo guardare per prendere le decisioni su come superare l'attuale lockdown. In che senso? Quando saremo nella fase di allentamento delle limitazioni, bisognerà seguire con la massima attenzione la curva dei ricoveri in terapia intensiva. Per più motivi, non scontati. In una pubblicazione di Matteo Villa, ricercatore Ispi, si spiega perché il numero di ricoverati in terapiva intensiva dovrebbe essere il campanello d'allarme più affidabile. All'interno di un discorso più ampio (l'articolo di Villa si può leggere integralmente qui, suggerisce la creazione di un 'indice di miglioramento regionale' basato sui ricoveri in terapia intensiva) si legge che a differenza del numero dei nuovi casi accertati, il numero dei pazienti ricoverati in terapia intensiva non risente "del numero di tamponi effettuati o del cambiamento delle strategie di testing regionali. Per esempio, nel corso della “fase due” alcune Regioni potrebbero cominciare a testare molte più persone, facendo emergere più casi asintomatici, ma questo non sarebbe un indice di un aggravamento dell’epidemia. Inoltre, a differenza del dato sulle persone decedute, i ricoveri in terapia intensiva sonno completamente osservabili dal sistema sanitario, mentre una frazione dei decessi di persone positive può restare sommersa".

Non solo. Se è complicato analizzare e trarre indicazioni precise e uniformi partendo dal numero dei ricoveri totali in ospedale per Covid-9 nelle varie regioni, "i ricoveri in terapia intensiva - scrive Villa - danno anche un’indicazione della gravità della situazione. L’assunto implicito qui è che un ricovero in terapia intensiva sia molto meno discrezionale di un ricovero ordinario, e che per questo esso possa fungere da buon indice della gravità dell’infezione nella popolazione regionale".  Il numero dei ricoveri in terapia intensiva potrebbe diventare il vero campanello d’allarme sulla base del quale le autorità preposte potrebbero prendere le decisioni sulla necessità di allentare le misure e le limitazioni o reintrodurne a un certo punto di più rigide. Sarebbe relativamente facile per le regioni tenere traccia dei posti occupati in terapia intensiva "mentre un indicatore come quello dei decessi tende ad arrivare con diversi giorni di ritardo" scrive Villa, che osserva come sarebbe anche "un indicatore conservativo: si accende rapidamente all’aumentare dei ricoveri, ma si spegne lentamente", perché in terapia intensiva i malati di Covid-19 sono spesso costretti a restarci per due settimane o venti giorni.

Da quando è iniziata l'epidemia sono già cambiati i 'connotati' degli ospedali italiani. E le terapie intensive sono i reparti che hanno visto le maggiori modifiche. "Se prima dell’emergenza Covid-19 la disponibilità di posti letto in terapia intensiva era pari a 7,35 per 100mila abitanti oggi è oltre di 12 ogni 100mila abitanti. In alcuni casi la percentuale è superiore a quella indicata dal ministero della Salute (+50%)". E' quello che emerge dalla ricerca settimanale dell'Instant Report Covid-19, una iniziativa dell’Alta scuola di economia e Management dei sistemi sanitari dell’Università Cattolica di Roma. La quasi totalità delle Regioni ha registrato un aumento dei posti letto in terapia intensiva. "La Regione Liguria, per esempio, avrebbe più che triplicato la dotazione - evidenzia il report - da 4,19 (il secondo più basso in Italia) a 12,96, superiore alla media nazionale. La Regione Lombardia, considerando i posti letto di terapia intensiva in Fiera, raggiunge una dotazione di 13,72 su 100mila abitanti. Il Friuli Venezia Giulia quadruplica le dotazioni giungendo a un valore che è pari alla media nazionale pre-Covid (8,39). In partenza la dotazione era di 2,39 posti letto per 100.000 abitanti, il più basso in Italia. Dati in controtendenza solo in Calabria e in Sicilia - osserva il documento - In tutte le Regioni il tasso di saturazione delle Terapie Intensive è sceso sotto il 65% e in media è del 25% significativamente più basso rispetto al livello di saturazione 'medio' del Ssn nelle statistiche storiche (intorno al 48%)".

Altro studio. L'impatto della malattia Covid-19 in Lombardia per gli esperti è "rilevante: anche se porta al decesso una percentuale molto bassa di tutte le persone risultate positive, nei pazienti più gravi la mortalità è del 49%, in pratica una persona su due ricoverata in terapia intensiva non sopravvive al contagio". E' il dato che emerge da uno studio su circa 1.600 ricoveri in terapia intensiva avvenuti in Lombardia. Il lavoro è stato condotto da un team del Policlinico di Milano. Si guarda quindi ai dati quotidiani con apprensione, cercando di individuare segnali non negativi. Sono poi le istituzioni stesse a evidenziare con sempre maggiore frequenza quanto sia importante il calo dei numeri delle terapie intensive.  "Il dato costante e positivo è la diminuzione delle terapie intensive: siamo scesi sotto la soglia psicologica degli 800 pazienti" ha detto Pietro Foroni, assessore al Territorio e alla Protezione civile della Regione Lombardia, in conferenza stampa. Occhi puntati sulle terapie intensive, e con dati e bollettini che, per ammissione della stessa Protezione Civile, non fotografano con esattezza il quadro dei contagiati e della diffusione dell'epidemia di coronavirus in Italia, lo saranno sempre di più. Perché per prendere decisioni che riguardano la salute pubblica, servono riferimenti affidabili e aggiornati con la massima rapidità.

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