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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Quanto è difficile diventare grandi per i “care leavers”: chi sono e come aiutarli

Sono tremila in Italia i neo18enni che hanno vissuto in affidamento o in comunità e al raggiungimento della maggiore età si trovano a dover avviare un percorso di crescita verso l’autonomia. Per loro a giugno era stato stanziato un Fondo speciale ma i soldi non sono mai stati erogati

Ogni anno in Italia ci sono circa tremila ragazzi che a 18 anni, con lo scadere della tutela legata al loro status di minorenni, lasciano il sistema di accoglienza che li ha sostenuti fino a quel momento e si ritrovano ad entrare nella vita adulta, dopo aver vissuto in affidamento o in comunità. Sono i cosiddetti “care leavers”. Se diventare grandi è difficile per tutti, per loro lo è ancora di più.

A sostegno di questi giovani a giugno dell’anno scorso era stato approvato un Fondo sperimentale, per accompagnarli non più solo fino alla maggiore età ma fino al compimento dei 21 anni. Quel Fondo però non ha visto ancora oggi l’erogazione dei fondi stanziati e nei giorni scorsi, in occasione della celebrazione della ratifica della Convenzione Onu sui diritti dell’Infanzia, Sos Villaggi dei Bambini ha voluto richiamare l’attenzione su questa situazione. La onlus supporta ogni anno circa 150 ragazzi, aiutandoli a rafforzare le loro capacità di gestire problemi, situazioni e domande che incontreranno poi nella vita quotidiana, dalla ricerca di un’abitazione autonoma fino all’inserimenti nel mondo del lavoro. I care leavers hanno alle spalle esperienze familiari difficili, spesso traumatiche. “Spetta anche a loro poter esprimere il proprio potenziale e diventare persone autonome, realizzate, parte integrante della società”, ha ricordato dice Samatha Tedesco, responsabile Programmi ed Advocacy di Sos Villaggi dei Bambini, auspicando che “vengano accelerati i tempi per l’erogazione dei finanziamenti previsti dal Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale, una sperimentazione approvata ma che ancora non è partita”

La testimonianza di Raffaella: "Cosa significa essere una care leaver"

Raffaella è una care leaver, oggi membro del Gruppo Giovani di SOS Villaggi dei Bambini. A suo tempo è stata accolta da una famiglia amica, composta da madre e figlio. Di quel periodo di transizione ricorda emozioni “contrastanti”. “Da un lato la felicità perché a 18 anni il mondo è nostro, con la libertà di poter far quello che si vuole anche se poi le regole da rispettare ci sono sempre, dall’altro l’incertezza per quello che stavo andando a fare e la paura di lasciare un posto sicuro come per me era la comunità”, racconta a Today. “In quel periodo ho avuto intorno a me gli educatori, la mia psicologa e la mamma della famiglia amica, che era una figura che allora si stava delineando. Come l’ho vissuto? Non è stato semplice, per le emozioni legate all’uscita dalla comunità. Era anche una costrizione, un’alternativa obbligata per quelle che dovevano essere le mie prospettive future: una scelta non scelta”.

Nel 2014, dopo aver già fatto esperienze di volontariato, Raffaella è entrata in contatto con Agevolando, una rete nata dall’iniziativa di giovani ex ospiti di comunità e/o famiglie affidatarie impegnata per aiutare i ragazzi che si trovano nella stessa situazione. “Sentivo la forza delle iniziative e dei progetti come un’opportunità per i ragazzi come me, che magari stavano ancora vivendo un periodo di transizione, perché dà la possibilità di confrontarsi e aprirsi rispetto alla propria esperienza”. Poi l’incontro con il Gruppo Giovani di SOS Villaggi dei Bambini, conosciuto proprio grazie ad Agevolando. “Mi hanno coinvolto in un progetto con loro nel 2015. All’inizio non ne avevo capito il potere, l’ho scoperto successivamente: la bellezza di vedere come si possono proporre e realizzare iniziative di formazione rivolte agli operatori e momenti di confronto con le istituzioni. Il Gruppo Giovani ha una dimensione più piccola, e questo mi ha permesso di concentrarmi sulle attività e di sperimentare anche un ruolo in situazioni più formali”.

Raffaella per Today.it-2

Ma cosa rischiano i care leavers una volta compiuti i 18 anni senza avere intorno una rete di sostegno? “Vanno incontro a un buio totale, un black out”, spiega Raffaela. “Succede che tutte quelle luci di speranza e di riferimento si spengono. Se i ragazzi hanno una struttura solida, cioè se sono abituati a farcela da soli, ce la possono fare a trovare soluzioni. Ma come tutti i diciottenni si è vulnerabili e di supporto ce n’è bisogno. Penso che si rischia di perdersi, di cadere in situazioni brutte, anche più grandi di noi, non perché si è cattivi ma perché non si ha nessuno. Penso che non sia facile orientarsi e ricordarsi di poter avere anche altre opportunità. Abbiamo visto che senza supporto, anche avendo soluzioni per una casa o un lavoro, confrontarsi con gli altri che non devono fare tutta questa fatica così presto…ti chiedi ma perché io no? È complicato”.

In questo percorso, sono fondamentali anche le istituzioni. L’appello di Raffaella è che “le forze politiche è che si aprano di più all’ascolto e a un confronto costante, e si perdano meno nella burocrazia…con i ragazzi bisogna agire presto! Prendiamo ad esempio il fondo per i neomaggiorenni su cui molti contano da quando è stato approvato più di un anno fa: quanto stiamo aspettando perché venga realizzato?”. Quanto agli operatori, Raffaella ripete il suggerimento che porta spesso quando si trova a fare formazione: “Abbattere le barriere che forse il loro ruolo richiama e che loro alzano a volte per difficoltà. Una semplice presenza, una chiacchierata è importante per noi. E anche dopo che i ragazzi hanno lasciato la comunità, non abbandonarli, che non vuol dire doversene fare carico, economicamente o emotivamente, ma significa esserci, con una telefona o con un messaggio, che agli operatori può sembrare un nulla ma per noi è fondamentale”.

Non basta raggiungere la maggiore età per diventare automaticamente adulti: questo è valido per qualsiasi ragazzo, ma per i care leavers rappresenta una difficoltà aggiunta. Compiuti i 18 anni, secondo la legge, non possono più beneficiare della cura, della protezione e della tutela garantite dalle realtà di accoglienza residenziale e molti di loro si ritrovano costretti ad avviare un percorso di crescita, attraverso l’autonomia economica e lavorativa, completamente da soli. Questi ragazzi, sostiene Raffaella, hanno “bisogno di persone che ci siano, di sapere che non sono soli, hanno bisogno di capire che ce la possono fare e che c’è una speranza e un’alternativa anche per loro. Che non sono diversi, che solo perché hanno vissuto in comunità la loro vita non deve essere segnata, e possono non abbattersi”.

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