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Martedì, 16 Aprile 2024
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Arrabbiati, insicuri e delusi dalla politica: la fotografia degli italiani a fine 2018

L'ottimismo è un lontano ricordo, la ripartenza non c'è stata e il rancore dilaga:questo è quanto emerge dal Rapporto 2018 del Censis sulla situazione sociale dell'Italia: “Siamo diventati intolleranti fino alla cattiveria”

Nel 2018 la tanto attesa ripresa economica non è arrivata, mantenendo il popolo italiano in questo limbo a metà tra la crisi e una ripartenza che stenta a mettersi in moto. Una situazione che nel corso del tempo ha trasformato l'italiano in quello che vediamo al giorno d'oggi: arrabbiato, senza fiducia nella politica, diffidente verso ciò che non conosce, deluso dalla condizione economica in cui vive, che spesso lo porta a dover rinunciare anche a fattori importanti come la salute. E' una fotografia in chiaroscuro quella che emerge dal 52esimo Rapporto Censis presentato oggi, venerdì 7 dicembre, e che segnala come "nel sottofondo delle dinamiche collettive" si vede una "efficacia dei processi in atto" che "conferma l'antica verità che solo le risoluzioni delle crisi inducono uno sviluppo".

Quella descritta nel 'rapporto 2018 sulla situazione sociale del Paese' è una Italia - spiega il Censis - alle prese con "un rabbuiarsi dell'orizzonte di ottimismo" e nella quale si accentuano "lo squilibrio dei processi d'inclusione dovuto alla contraddittoria gestione dei flussi d'immigrazione". L'insicurezza sembrerebbe la parola chiave che descrive la nostra società, dove l'assistenza viene "interamente scaricata sulle famiglie e sul volontariato", dove le istituzioni formative sono alle prese con "un vistoso calo di reputazione", dove si accentua "il cedimento rovinoso della macchina burocratica pubblica e della digitalizzazione dell'azione amministrativa".

In questo scenario, insomma, secondo il Censis "verrebbe da pensare che tutto arretra" con gli italiani "incapsulati in un Paese pieno di rancore e incerto nel programmare il futuro". E invece - spiega l'istituto - magari lontane dalle luci della ribalta ci sono "lente e silenziose trasformazioni, movimenti obliqui" che "preparano il terreno di un nuovo modello di perseguimento del benessere e della qualità della vita".

L'Italia, registra, ad esempio, "il consolidarsi di una positiva bilancia commerciale della tecnologia, il primato nella economia circolare, l'affermarsi dei tanti soggetti dell'economia esplorativa, il prepotente e drammatico ritorno di attenzione sull'economia della manutenzione". E a livello intermedio - aggiunge - "si rinnova anche il ruolo della rappresentanza" anche se in questi ecosistema "ciascuno afferma un proprio paniere di diritti e perde senso qualsiasi mobilitazione sociale". Il vero nodo - sembra essere l'indicazione che emerge dal rapporto - è che in questo sistema sociale, "attraversato da tensione, paura, rancore" si "guarda al sovrano autoritario" mentre "il popolo si ricostituisce nell'idea di una nazione sovrana supponendo, con un'interpretazione arbitraria ed emozionale, che le cause dell'ingiustizia e della diseguaglianza sono tutte contenute nella non-sovranità nazionale".

Il Censis punta il dito contro la "politica dell'annuncio" quando a quest'ultimo manca "la dimensione tecnico-economica necessaria a dare seguito al proprio progetto". Ma se "ignorare il cambiamento sociale è stato l'errore più grave della nostra classe dirigente del trascorso decennio, l'errore attuale rischia di essere quello di dimenticare che lo sviluppo italiano continua ad essere diffuso, diseguale". Di qui, l'invito a "un dibattito serio sull'orientamento del nostro sviluppo e sulla capacità politica di definirne i nuovi traguardi". Perché all'Italia di oggi, conclude il Censis "basterebbe una responsabilità politica che non abbia paura della complessità, ma si misuri con la sfida complessa di governare un complesso ecosistema di attori e processi".

Italiani arrabbiati

Soltanto un italiano su cinque ha un atteggiamento positivo sul momento che vive; per il resto, prevalgono rabbia, disorientamento, pessimismo. E' questo lo stato d'animo degli italiani fotografato dal Censis: su 100 italiani, 30 si dicono "arrabbiati perché troppe cose non vanno bene e nessuno fa niente per cambiarle"; 28 "disorientati" in quanto ammettono di "non capire cosa stia accadendo"; 21 vedono "negativo: le cose andranno sempre peggio"; e soltanto altri 21 guardano invece alla realtà con uno stato d'animo "positivo" in quanto "viviamo un'epoca di grandi cambiamenti" e riferiscono di "avere fiducia nel futuro".

Una indiretta conferma arriva da un altro dato presente nel Rapporto Censis: due italiani su tre sono convinti che "non ci sia nessuno a difendere interessi e identità" e dunque sono costretti a farlo "da soli". Se il 64% la pensa così, la percentuale si impenna a quota 72 fra coloro che hanno un basso titolo di studio, a 71 per chi ha redditi bassi, a 67 fra i residenti al Sud e nelle due Isole, a 65 fra le donne.

Non c'è fiducia nella politica

E qual è il rapporto con la politica? Per metà degli italiani, i politici sono tutti uguali; e per oltre la metà, in Italia niente cambia. A esprimere quella che un tempo si sarebbe definita come una considerazione 'qualunquista' - ovvero che "i politici sono tutti uguali" - è il 49,5% degli italiani e la percentuale supera la metà di loro nel caso di persone con reddito basso (54,8%), donne (52,9%), giovani tra i 18 e i 34 anni (52,5%), chi ha un basso titolo di studio (52,2%) e i meridionali (50,6%).

Quanto ai pessimisti per i quali "le cose in Italia non stanno cambiando", in media il 56,3% degli italiani, in testa risultano essere di gran lunga gli studenti (73,1%) seguiti a distanza dagli anziani ultra 65enni (62,2%), dai residenti nel Nord-Ovest (60,7%), dalle donne (60,2%), dai laureati (60,2%) e da coloro che percepiscono redditi medio-bassi (58,1%).

Il Censis definisce nel suo Rapporto questa fase della missione della politica "dall'assalto al cielo alla difesa delle trincee", osservando che "l'evoluzione della partecipazione e del consenso elettorale racconta da un lato il disimpegno degli elettori come esito del distacco dalla politica e dall'altro la frammentazione del consenso conferito ai principali partiti in campo, che significa in sintesi il consolidamento di un gap tra politica e società oramai fisiologico".

In precedenza, "la politica non rifletteva umori ed emozioni come un semplice specchio, ma riusciva a discernere, selezionare, combinare; in una parola: a mediare". Mentre oggi "sembra finito quel gioco combinatorio di identità e interessi che si proiettava nella domanda politica, anche perché sono sempre più sfumati i profili identitari dei diversi gruppi sociali e le relative 'costituency' degli interessi".

A questo punto, spiega il Censis, "per sfuggire al rischio dell'indistinzione, i politici rinunciano a ogni pratica mediatoria, radicalizzando almeno verbalmente quel che può distinguerli o renderli visibili e più duraturi nel ruminare impietoso del circo mediatico". Così, "la politica rilancia ogni umore ed emozione estremi che circolano in modo più o meno sommerso nella società o fragorosamente visibili sui social network". E questo è "il meccanismo perverso della politica che riflette la società e ne rilancia le voci più assordanti e virulente".

Il sovranismo psichico

"Dopo il rancore, la cattiveria": titola così il Censis il capitolo del suo Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese dedicato alle radice del 'sovranismo psichico', sottolineando che "gli italiani sono diventati nel quotidiano intolleranti fino alla cattiveria" e quindi "la politica e le sue retoriche rincorrono, riflettono o semplicemente provano a compiacere un sovranismo che si è installato nella testa e nei comportamenti degli italiani", che dimostrano una "consapevolezza lucida e disincantata che le cose non vanno e più ancora che non cambieranno".

Per uscire da questa situazione, "gli italiani sono ormai pronti a un funambolico camminare sul ciglio di un fossato che mai prima d'ora si era visto" e allora mostrano una "disponibilità pressoché incondizionata: non importa se il salto è molto rischioso e dall'esito incerto, non importa se l'altrove è un territorio indefinito e inesplorato, non importa se per arrivarci si rende necessario forzare, fino a romperli, gli schemi canonici politico-istituzionali e di gestione delle finanze pubbliche".

Si tratta di "una reazione pre-politica, molto più lucida di quanto in genere si sia pronti a riconoscere, perché viene da lontano e ha profonde radici sociali che hanno finito per alimentare una sorta di sovranismo psichico prima ancora che politico". Alimentato da alcune "disillusioni": una ripresa rimasta inchiodata, un pil che ristagna, i consumi che non ripartono, la produzione industriale che flette, le retribuzioni che restano basse. Così, "l'Europa non è più un ponte verso il mondo né la zattera della salvezza" e "il Mediterraneo non è più la culla della civiltà ma ritorna a essere confine, un fossato invalicabile".

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