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Venerdì, 29 Marzo 2024
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In Italia crescono i matrimoni ma ormai ci si sposa sempre più tardi

Nel 2018 la metà delle nozze sono state celebrate con rito civile: Il 63,9% Nord, al Sud meno della metà (30,4%). Le unioni di coppie dello stesso sesso sono state 2.808

Nel 2018 in Italia si sono celebrati 195.778 matrimoni, circa 4.500 in più rispetto all'anno precedente (+2,3 per cento). Ci si sposa di più in prime nozze, ma sempre più tardi. Infatti secondo gli ultimi dati diffusi dall'Istat ormai si arriva al primo matrimonio dopo aver superato i trent'anni: gli sposi hanno in media 33,7 anni e le spose 31,5. Il numero delle nozze bis (o anche successive al secondo tentativo), dopo una fase di crescita rilevata negli ultimi anni anche grazie all'introduzione del "divorzio breve", è rimasto invece stabile rispetto all'anno precedente: si tratta del 19,9 per cento del totale.

In aumento le prime nozze

Il numero dei matrimoni in Italia è iniziato a diminuire dalla seconda metà degli anni Settanta. In questi oltre quarant'anni di calo tendenziale si sono verificate brevi oscillazioni, legate soprattutto a circostanze particolari (un esempio: in occasione del 2000 si registrò un aumento congiunturale dei matrimoni, per l’attrattività che questa data ha esercitato su chi ha voluto celebrare le proprie nozze all’inizio del nuovo millennio). In anni più recenti, nel biennio tra il 2015 e il 2016, c’è stato un lieve aumento dei matrimoni anche dovuto agli effetti del Decreto legge 132/2014 sull'introduzione dell’iter extra-giudiziale per separazioni e divorzi consensuali e della Legge 55/2015 (ossia il “Divorzio breve”) che hanno semplificato e velocizzato la possibilità di porre fine al matrimonio in essere e, quindi, consentito di risposarsi a un numero maggiore di coppie rispetto al passato. Al netto però delle fluttuazioni congiunturali, la tendenziale diminuzione dei matrimoni è dovuta prevalentemente al calo delle prime nozze: rispetto agli ultimi dieci anni, i matrimoni tra celibi e nubili sono passati da oltre 210 mila nel 2008 a quasi 157 mila nel 2018.

Al netto di queste oscillazioni congiunturali, negli ultimi quattro anni la diminuzione della primo-nuzialità si è attenuata. Considerando i tassi di primo-nuzialità, i livelli osservati nel 2018 superano quelli del 2014 (+10,6 punti percentuali per gli uomini e +16,4 per le donne), un risultato importante se si tiene conto che sono sempre meno numerosi i giovani in età da matrimonio.

Meno giovani, meno matrimoni

La contrazione delle nascite in Italia a partire dalla metà degli anni Settanta ha determinato ovviamente una riduzione della popolazione tra i 16 e i 34 anni, che ha contribuito alla diminuzione dei matrimoni dei giovani di quella fascia d'età. Infatti, mentre nel 2018 l’incidenza delle prime nozze dei giovani è del 59,7% tra gli sposi e del 72,5% tra le spose, nel 2008 era di circa 10 punti percentuali in più.

La diminuzione dei primi matrimoni è da mettere in relazione anche in parte con la progressiva diffusione delle libere unioni. Queste, dal 1997-1998 al 2017-2018, sono più che quadruplicate passando da circa 329 mila a 1 milione 368 mila. L’incremento è dipeso prevalentemente dalla crescita delle libere unioni di celibi e nubili, passate da 122 mila a 830 mila circa. Questa modalità del fare famiglia è sempre più diffusa anche nel caso di famiglie con figli; l’incidenza di bambini nati fuori del matrimonio è in continuo aumento: nel 2017 quasi un nato su tre ha i genitori non coniugati.

Di generazione in generazione si osserva secondo l'Istat un aumento dei percorsi di vita più “flessibili” rispetto alla tradizionale caratteristica di una sequenza di eventi precisa e socialmente normata. Il primo matrimonio e la nascita del primo figlio sono eventi che possono sempre più spesso non verificarsi oppure verificarsi non nella sequenza “tradizionale”.

Aumentano le convivenze prematrimoniali

Sono in continuo aumento le convivenze prematrimoniali, che possono avere un effetto sul rinvio delle nozze a età più mature. Ma è soprattutto la protratta permanenza dei giovani nella famiglia di origine a determinare il rinvio delle prime nozze. Nel 2018 vivono nella famiglia di origine il 67,5% dei maschi tra 18 e 34 anni (oltre 3 milioni e 700 mila) e il 56,4% delle loro coetanee (oltre 2 milioni e 900 mila). Particolarmente rilevante è l'aumento nel tempo di chi vive nella famiglia di origine, specialmente per le donne: rispetto al 2008 le donne che non hanno ancora lasciato la famiglia di origine sono aumentate di 3 punti percentuali mentre gli uomini di 1,3.

La prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine è dovuta a molteplici fattori, ricorda l'Istat, che fa riferimento all’aumento diffuso della scolarizzazione e all’allungamento dei tempi formativi, alle difficoltà che incontrano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e alla condizione di precarietà del lavoro stesso, alle difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni. L’effetto di questi fattori si amplifica nei periodi di congiuntura economica sfavorevole, che spingono i giovani a ritardare ulteriormente, rispetto alle generazioni precedenti, le tappe dei percorsi verso la vita adulta, compresa la formazione di una famiglia.

Sempre più spesso poi il matrimonio viene celebrato a sugello di relazioni da tempo costituite. Nel 2018 i matrimoni in cui almeno uno sposo ha 65 anni o più costituiscono ancora una quota residuale del totale dei matrimoni: 3,4% quando è lo sposo ad avere più di 64 anni, 0,9% quando è la sposa. Tale proporzione è più che raddoppiata rispetto al 2008 sia per gli uomini sia per le donne (erano rispettivamente 1,4% e 0,4%).

Il 50% dei matrimoni avviene con rito civile

Se nel 1970 le nozze celebrate con rito civile erano appena il 2,3% del totale, nel 2008 erano già diventate il 36,7% mentre dieci anni dopo, nel 2018, i matrimoni civili sono stati il 50,1% del totale (98.182 in tutto): il 63,9% dei matrimoni civili è stato celebrato al Nord, al Sud meno della metà (30,4%).

Sono celebrate prevalentemente con rito civile le seconde nozze e successive (94,6%) e i matrimoni con almeno uno sposo straniero (89,5%). Nell’ultimo decennio sono aumentate sia la quota di matrimoni successivi al primo (dal 13,8% sul totale dei matrimoni celebrati nel 2008 al 19,9% del 2018) sia la quota di matrimoni dove almeno uno degli sposi è straniero (dal 15% del 2008 al 17,3% del 2018). L’aumento del rito civile, quindi, è in parte spiegabile con l’aumento delle tipologie di matrimonio che vi fanno tipicamente ricorso. Tuttavia, la scelta di celebrare il matrimonio con il rito civile si sta affermando rapidamente anche nei primi matrimoni (dal 27,9% del 2008 al 39,1% del 2018).

Tre i giovani under30 che si sposano per la prima volta si osserva un comportamento più “tradizionale” rispetto a chi si sposa in età successive; la quota di primi matrimoni celebrati con rito civile è, infatti, al 24,8% per i più giovani e al 37,8% per chi si sposa per la prima volta in età più matura.

Le unioni tra coppie dello stesso sesso

Nel 2018 sono state costituite 2.808 unioni civili tra coppie dello stesso sesso presso gli Uffici di Stato civile dei comuni italiani. Queste si vanno a sommare a quelle già costituite nel corso del secondo semestre 2016 (2.336), con l'entrata in vigore della Legge 20 maggio 2016, n. 76 , e dell’anno 2017 (4.376) . Come nelle attese, dopo il picco avutosi subito dopo l’entrata in vigore della nuova legge il fenomeno si sta ora stabilizzando.

Il 37,2% delle unioni civili è stato costituito nel Nord-ovest, seguito dal Centro (27,2%). In testa si posiziona la Lombardia con il 25%, a seguire Lazio (15,1%), Emilia-Romagna (10,0%) e Toscana (9,4%). Le unioni civili costituite in Italia nel 2018 sono 4,6 per 100 mila abitanti: si va da 7 di Lazio, Lombardia e Toscana a circa 0,5 per 100 mila di Calabria, Basilicata e Molise (Figura 7).

Nel 2018 nelle grandi città si è concentrato il 32,7% delle unioni civili avvenute in Italia: in cima alla graduatoria si trovano Roma (290 unioni, 10,3%) e Milano (257 unioni, 9,2%); la quota di unioni civili di coppie di uomini risulta particolarmente elevata a Milano (pari al 75,5%) rispetto a Roma (66,9%).  Tra le città del Mezzogiorno soltanto Napoli e Palermo mostrano valori superiori all’1 per 100 mila abitanti, analogamente a quanto osservato nel periodo precedente.

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