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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Coronavirus e allarme contagi nei mattatoi: "Quelli italiani sono più sicuri rispetto all'estero"

Mantenere la distanza nei mattatoi è impossibile. Si lavora fianco a fianco e i dipendenti sono spesso migranti che vivono in appartamenti sovraffollati. Cento positivi in un'azienda francese. Ma per la Uila le aziende italiane del settore si sono mosse bene e per tempo

Sono i luoghi di lavoro a finire sotto la lente d'ingrandimento oltralpe in questa fase dell'epidemia: oltre 100 persone che lavorano in un mattatoio della Francia orientale, a Côtes-d'Armor, sono risultate positive al coronavirus, secondo l'Agenzia regionale della Sanità francese. Un focolaio che preoccupa. Nell'azienda i casi sono 109 su 818 testati. Tutti i contatti dei dipendenti sono stati individuati e i lavoratori dovranno restare 14 giorni in quarantena. Il problema non riguarda solo i nostri "vicini di casa" transalpini. Si contano migliaia di casi confermati tra i lavoratori dei mattatoi negli Stati Uniti. Il più grande focolaio di coronavirus è quello che c'è stato all’interno di un impianto di lavorazione della carne nel South Dakota, dove si sono registrati 1.000 casi. In 115 impianti di lavorazione 5.000 positivi e 20 morti su un totale di 130.000 lavoratori. In Germania sono circa 800 i positivi nei grandi impianti di macellazione delle carni. I mattatoi sono ambienti ideali per la proliferazione di tutti i virus. Nel mondo intero i dipendenti dei mattatoi sono spesso migranti che vivono in comunità e appartamenti sovraffollati. Anche in Italia sono stati decine i casi in un'azienda del settore pugliese, ma la situazione è totalmente sotto controllo.

Mantenere la distanza di sicurezza, in molti mattatoi è impossibile. Si lavora fianco a fianco. In Italia, a Palo del Colle, in provincia di Bari, il reparto di macellazione dello stabilimento Siciliani è stato chiuso dopo che oltre 70 impiegati sono risultati positivi al virus. Tutti i lavoratori contagiati sono stati posti in isolamento domiciliare, mentre gli altri sono in attesa di riprendere servizio.

"I mattatoi italiani sono più sicuri rispetto a quelli esteri - spiega all'Adnkronos Stefano Mantegazza, segretario generale di Uila (Unione Italiana dei lavoratori agroalimentari) -. A parte la struttura pugliese non ci sono stati altri casi, per fortuna. Tutto il settore ha risposto molto positivamente alla pandemia e può essere considerato un esempio per l'Italia che riparte su come coniugare insieme lavoro, flessibilità organizzativa, garanzie di sicurezza e tutela della salute". Quello pugliese è stato un caso isolato, quindi. "La situazione è subito rientrata - sottolinea il segretario generale di Uila Puglia, Pietro Buongiorno -. L'Asl aveva fatto tutte le verifiche e i lavoratori con tampone positivo sono stati posti in isolamento domiciliare. Sono rientrati solo i lavoratori con doppio tampone negativo, gli altri sono a casa in ferie". Tempestivo l'intervento dell'azienda. L'area di macellazione, la più colpita, è stata messa in stand-by.

"Sono rimaste operative solo l'amministrazione e la logistica, aree che non avevano avuto casi di Covid - rimarca Buongiorno -. Il reparto di macellazione rientrerà a regime la prossima settimana e come da protocollo, chi è risultato positivo, prima di rientrare dovrà fare una visita presso il proprio medico curante e risultare negativo a due tamponi". Cos'è che rende i mattatoi così sensibili al contagio? In molti casi, il mantenimento della distanza di sicurezza, difficile da rispettare, visto che i lavoratori si trovano a stretto contatto l'uno con l'altro. Inoltre, la filiera alimentare, inclusa la lavorazione della carne, a differenza di altre, non si è mai fermata durante l'emergenza sanitaria.

"Non siamo ancora riusciti a capire perché si siano verificati questi casi - sottolinea Buongiorno - l'azienda e il nostro rappresentante sindacale ci hanno detto che i dispositivi di sicurezza sono sempre stati applicati, così come il controllo della temperatura all'ingresso. Bisognerebbe capire come mai c'è stato questo contagio in un numero così alto di lavoratori. E' chiaro che in uno stabilimento di lavorazione carni il mantenimento della distanza di sicurezza non è sempre facile". Ora, insieme alla Asl locale, è stato adottato un protocollo di sicurezza che ha stabilito la distanza tra un lavoratore e l'altro di un metro e ottanta. "E' un protocollo più stringente rispetto alle misure normali - osserva Buongiorno - bisognerà vedere come andrà alla ripresa delle attività di macellazione. Lo stabilimento non ha ancora riaperto a pieno regime e non possiamo misurare i risultati post intervento. Però siamo tranquilli perché c'è un monitoraggio continuo da parte degli organi ispettivi, quindi anche della Asl, e pieno rispetto delle regole".

Gran parte del merito è proprio di sindacati e imprese. "Insieme hanno fatto un lavoro straordinario in questo periodo di pandemia - rimarca - quasi ovunque, prima ancora che venissero indicate dal governo, siamo riusciti a garantire misure di sicurezza adeguate, per cui la filiera alimentare è un esempio di buona gestione della sicurezza. Non abbiamo avuto casi eclatanti, neanche nelle zone rosse, dove è stata registrata maggiore difficoltà". Nessun rischio, quindi, che si verifichino anche da noi le problematiche che hanno riguardato altri Paesi. "Negli Usa hanno chiuso tantissimi macelli - fa notare Mantegazza - e ucciso animali. Qui in Italia non si è verificato un caso simile, non solo nella filiera delle carni ma in assoluto in tutto il settore alimentare". La ragione la dice in sintesi sempre Buongiorno: "La sicurezza è direttamente proporzionale al rispetto delle regole - dice -. E vale per tutti i settori. Se i protocolli e le misure di sicurezza sono rispettati è chiaro che le possibilità di contagio sono ridotte al lumicino".

Ma attenzione: parlare dei rischi contagio nei mattatoi non significa che vi sia alcun rischio di contagio correlato al cibo. La Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, attraverso Marta Hugas, direttore scientifico dell’Autorità, mette le cose in chiaro: “Attualmente non ci sono prove che il cibo sia fonte o via di trasmissione probabile del coronavirus. Le esperienze fatte con precedenti focolai epidemici riconducibili ai coronavirus, come il coronavirus della sindrome respiratoria acuta grave (Sars) e il coronavirus della sindrome respiratoria mediorientale (Mers), evidenziano che non si è verificata trasmissione tramite il consumo di cibi. Al momento non ci sono prove che il coronavirus sia diverso in nessun modo”.

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