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Venerdì, 29 Marzo 2024
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La tragedia del Ponte Morandi nei racconti dei vigili del fuoco: 'il sesto senso del soccorritore'

Un vigile del fuoco ha raccolto in un libro le testimonianze di alcuni dei colleghi in servizio il 14 agosto a Genova. Cosa hanno provato? Cosa è rimasto con loro dopo? L'intervista all'autore Alessandro Basile

Martedì 14 agosto 2018, vigilia di Ferragosto. Sotto una pioggia torrenziale, alle 11.36, parte del Ponte Morandi crolla, trascinando con sé auto e detriti. Muoiono quarantatré persone. Un avvenimento talmente straordinario da risultare in un primo momento incredibile a chiunque non lo avesse visto accadere direttamente sotto i propri occhi, anche per chi ha fatto di eventi drammatici e calamità naturali la propria vita, la propria missione: uomini e donne del soccorso, i vigili del fuoco. Li abbiamo visti lavorare a decine: tra le macerie, sospesi nel vuoto, per recuperare i corpi di chi non ce l'aveva fatta e quelli di chi invece contro ogni previsione razionale era sopravvissuto.

Cosa hanno provato mentre si recavano sul luogo della tragedia appena avvenuta? Come hanno affrontato quell'evento? Cosa è rimasto dentro di loro? Cosa hanno pensato una volta varcata la soglia di casa alla fine di quello che era iniziato come un normale turno di lavoro e si è trasformato in un qualcosa di mai sperimentato prima? Lo racconta un collega vigile del fuoco, Alessandro Basile, raccogliendo le testimonianze di alcuni di loro in un libro, in uscita per Round Robin a poche settimane dal secondo anniversario della tragedia. "Ponte Morandi. Il sesto senso di un soccorritore" contiene le testimonianze di undici vigili del fuoco operativi il giorno del crollo. Un racconto corale, che procede a ritroso a partire dal rientro dei soccorritori nelle loro sedi di servizio dopo l'intervento, per poi riandare con il ricordo ai momenti che hanno preceduto le prime chiamate di soccorso, e arrivare agli interventi veri e propri negli istanti successivi al crollo.

Il collega Basile ha raccolto le loro parole, provando a restituire una quotidianità umanissima di figure che siamo abituati a vedere il più delle volte come supereroi ma il cui superpotere deriva in realtà dalle loro stesse capacità, dall'addestramento, dall'esperienza e appunto dalla loro umanità. "L'idea è stata di dare voce ai soccorritori che lavorano in silenzio, in quegli attimi molto concitati. Di solito subito dopo c'è verso di loro un gran clamore mediatico, poi però si ritorna al solito lavoro di routine. Si è parlato tanto dei vigili del fuoco in quel periodo, ma a me premeva far emergere un lato più psicologico, emotivo, sentimentale. Volevo farli parlare delle relazioni tra loro e con le proprie famiglie, ma soprattutto delle relazioni con sé stessi", racconta Basile a Today. "Essendo io stesso un vigile del fuoco, so cosa si prova e volevo mettere a nudo un personaggio 'pubblico' e togliergli la maschera, farne vedere le fragilità, che sono poi del resto quelle che hanno tutti gli uomini e le donne".

Ponte Morandi, cos'è il sesto senso di un soccorritore

La chiave è nel sottotitolo del libro, quel "sesto senso del soccorritore". "Tutti hanno paura, in generale. La paura c'è ma in certe circostanza c'è anche qualcos'altro che ti aiuta a uscire dalle situazioni, ad avere quello scatto che ti fa intervenire proprio dove tutti gli altri stanno fuggendo. Cos'è che ti dà quell'input, quella forza? Io l'ho identificato con questo sesto senso del soccorritore". Questo sesto senso esiste. Si sviluppa con l'esperienza, si impara sul campo, con la conoscenza di se stessi, si interiorizza durante l'intervento e si esterna – a volte anche con rabbia o delusione. "Io ci vedo anche un qualcuno che ci guida in certe circostanze, c'è l'istinto umano ma anche qualcosa dall'Alto che ci riesce a guidare, ma questa è una mia personalissima opiione. Poi il lettore può farsi la sua leggendo", aggiunge Basile. 

"Quando ci sono terremoti, allagamenti, maxi emergenze come questa, la solidarietà viene sempre fuori. Il soccorritore è addestrato a reagire in determinati momenti di stress e comportarsi di conseguenza. In questi momenti la solidarietà e il nostro mestiere vanno di pari passo. Cerchiamo di collaborare, anche con persone che non abbiamo mai visto, liberi cittadini che si presentano lì, forze dell'ordine, altri corpi. Al Ponte Morandi lavorò un mix di forze fin dai primi momenti, perché l'obiettivo comune era salvare vite umane e quando c'è in gioco la vita umana, tutto il resto passa in secondo piano", dice Basile.

Ponte Morandi, le testimonianze dei vigili del fuoco

E lo si capisce meglio leggendo le testimonianze. Molti di loro, poi, abituati e formati a lavorare in diversi contesti, sono rimasti colpiti emotivamente da quello che è accaduto. L'esperienza e l'addestramento li guida sia durante l'intervento sia dopo, quando devono interiorizzare, ma per i fatti di Genova il percorso potrebbe essere più lungo e doloroso.

Inevitabilmente, i dettagli che colpiscono di più sono quelli registrati subito dopo il crollo. Le chiamate incredule arrivate alla centrale di controllo, raccolte dagli operatori altrettanto increduli. Quella di David, il pompiere "venuto giù col ponte" e incredibilmente sopravvissuto. La frustrazione del collega vigile del fuoco che da quella stessa sala di controllo ha gestito segnalazioni e interventi ma che avrebbe voluto trovarsi anche lui sul campo, a sporcarsi "le mani di vita e di morte". I pompieri con indosso i venticinque chili di equipaggiamento che corrono verso l'uscita della galleria per raggiungere il baratro, il punto in cui il ponte è crollato, tra gli sguardi attoniti degli automobilisti bloccati. Il silenzio sul luogo della tragedia, "i cellulari delle vittime che squillano dentro i sacchi i cui erano adagiati i corpi senza vita". L'immagine di quell'"enorme pezzo di autostrada adagiato a testa in giù sui binari ferroviari. Auto con forme irregolari sbalzate ovunque sul mio orizzonte", come racconta uno dei soccorritori del team di Bolzaneto intervistati da Basile. E ancora gli interventi dei giorni successivi, per cercare di liberare i corpi senza vita rimasti intrappolati tra le macerie: "Turni serrati di quattro ore. Quattro di lavoro intervallate da quattro ore di riposo, quattro ore di odore di cemento armato e quattro ore cercando di levarselo di dosso. Quattro ore che sembrano volare e quattro ore interminabili".

"Ponte Morandi. Il sesto senso di un soccorritore": parla l'autore Alessandro Basile

"Per me essere vigile del fuoco non è un semplice lavoro, ma è una missione, una cosa che ti senti dentro. Nel libro scrivo che in questo lavoro bisogna a fare a che fare con due p, la paura e la passione. Ed è la passione che ti spinge a superare certi momenti, come ad esempio quando dobbiamo recuperare persone già decedute o sappiamo che in un determinato contesto non c'è nulla da fare", ricorda Basile. "A quel punto cerchiamo di somatizzare e di venirne fuori pensando che nei prossimi interventi riusciremo invece a renderci utili. Nel nostro mestiere capita spesso di dover recuperare i corpi delle vittime e consegnarli alle famiglie. Per noi a volte sembra una sconfitta, ma anche questo simboleggia il nostro mestiere e la nostra missione: donare alle famiglie un corpo da piangere".

Colpiscono anche, nel racconto intimo di questo professionisti del soccorso, dettagli legati alla loro vita, che spesso non consideriamo. Il messaggio alla moglie o alla mamma prima di iniziare l'intervento, per avviare e tranquillizzare tutti se non si fossero più sentiti fino alla tarda serata. La telefonata a fine turno, dopo ore passate in uno scenario apocalittico per sapere che a casa stanno tutti bene, una "necessità quasi fisiologica", come racconta uno dei vigili del fuoco intervistati da Basile. "Nonostante io abbia operato per otto ore consecutive con il relativo stress psicofisico e in costante pericolo per la mia incolumità, ho capito solo a posteriori i turbamenti che le persone legate a un soccorritore subiscono in eventi come questo: apprensione, impotenza, dolore", si legge in un'altra testimonianza.

Tra quei vigili del fuoco Alessandro Basile non c'era. Di stanza a Novara, la sua unità era stata chiamata in seconda battuta qualche giorno dopo per intervenire in supporto delle squadre al lavoro con i droni. Di lì a poco Alessandro avrebbe dovuto sposarsi, per questo a malincuore dovette tirarsi indietro. Ma la ferita di non essere stato al Morandi gli è rimasta dentro e così ha deciso di raccogliere, lui stesso vigile del fuoco, i racconti di alcuni dei colleghi che invece si son trovati a vivere quell'esperienza drammatica.

"Quando ebbi quella chiamata, per andare a Genova, dissi di no a malincuore. Mi sarei dovuto sposare di lì a qualche giorno dopo. Quel rimorso ha dato il via a qualcosa dentro di me che non sapevo canalizzare. Avevo questa energia e non sapevo dove impiegarla. Chiacchierando con un mio amico di Novara, Fabio Barbieri, è nata l'idea di scrivere un libro. Dovevo partecipare in qualche modo. Non ho potuto dare il mio supporto in quell'occasione ma ho avuto questa possibilità. Scrivendo mi è stata data una seconda possibilità. L'ho presa e spero che dall'altra parte il lettore comprenderà".

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