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Venerdì, 29 Marzo 2024
Finestra sul mondo

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A cura di Gianmarco Volpe

Trump e l’Iran: la verità è che non c’è un piano B

Lunedì 21 maggio gli Stati Uniti hanno annunciato la nuova strategia delineata dal presidente Donald Trump per l’Iran. A illustrarne i dettagli è stato il nuovo segretario di Stato, Mike Pompeo, da meno di un mese chiamato a guidare la diplomazia di Washington al posto del più “morbido” Rex Tillerson. Qualche osservatore s’aspettava che Pompeo tirasse fuori dal cilindro un “piano B”, una soluzione alternativa all’accordo firmato dall’Iran e dai paesi del formato P5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza più la Germania) nel 2015, quando l’inquilino della Casa Bianca era Barack Obama.

La conferenza stampa di Pompeo è stata aspra nei contenuti non meno che nei toni: la minaccia di nuove sanzioni, “le più dure di sempre”, è accompagnata da una lista di condizioni che l’Iran dovrebbe soddisfare per arrivare a ridiscutere un nuovo accordo sul nucleare. Il problema è che le richieste sono irricevibili da Teheran: alla Repubblica islamica si chiede non solo d’interrompere ogni attività di arricchimento dell’uranio e di consentire l’accesso del personale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) a tutti i siti del programma nucleare, ma anche di fermare il sostegno ai gruppi armati appoggiati dall’Iran in Iraq, in Libano, in Yemen, nella Striscia di Gaza. Un punto, quest’ultimo, che era stato appositamente trascurato nel 2015 per evitare il fallimento dei negoziati ma che ha continuato ad avvelenare i rapporti tra la Repubblica islamica e i suoi rivali nella regione, in particolare Israele e l’Arabia Saudita.

Nel porre sul tavolo la questione dell’appoggio iraniano a gruppi come il libanese Hezbollah, il palestinese Hamas e lo yemenita Houthi, l’amministrazione Trump ha sicuramente incontrato il favore dei suoi principali alleati in Medio Oriente (sempre Israele e Arabia Saudita), ma ha anche chiuso ogni spazio a un nuovo eventuale accordo con Teheran, almeno nel breve e medio periodo. L’Iran considera infatti tali gruppi uno strumento di vitale importanza per evitare di restare isolato nella regione. Sul punto, semplicemente, non c’è discussione.

Ancora una volta, affrontando i temi della politica internazionale, Trump sembra più interessato ad ammiccare ai propri alleati piuttosto che a dialogare con i propri interlocutori. La verità è che, almeno per il momento, non esiste alcun “piano B” sull’Iran: questo renderà se possibile ancora più complicati gli sforzi di mediazione dell’Unione europea, oggi affidati alla voce solitaria del presidente francese Emmanuel Macron.
 

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