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Giovedì, 25 Aprile 2024
Le affinità elettive

Le affinità elettive

A cura di Annalisa Terranova

La merenda di Adolf Hitler e i guanti di Maria Stuarda

Cosa fa Adolf Hitler mentre discute a Vienna con un gentiluomo ebreo? Gusta una coppa di fragole con crema chantilly mentre a Mozart in viaggio a Praga viene servita in una locanda zuppa d’orzo con quadretti di speck e Napoleone, prima di partire per l’esilio, mangia uova con lardo e vino rosso e Stalin, fuggitivo, giovane e sconosciuto “Soso” in incognito assaggia il brodetto all’anconetana. 

Sulle tracce del cibo si trovano gli uomini, quelli comuni e quelli grandi, i personaggi famosi che, colti nella loro quotidianità, ci appaiono più fragili e simpatici, persino più vulnerabili. 

L’idea di accostare storia e buona tavola è venuta a Franco Cardini in un libro straordinario, “L’appetito dell’imperatore. Storie e sapori segreti della Storia” (Mondadori), ma l’attenzione al “dettaglio” quotidiano nello scrutare ciò che è venuto prima di noi è un portato che viene dai primi del Novecento, quando si afferma la storia delle mentalità e una materia per eruditi (detestata da Nietzsche, per esempio) diviene scoperta continua di curiosità, molto al di sotto dei conciliaboli di corte e delle grandi battaglie, là dove ciascuno di noi può collocarsi e guardare la Storia come se ci fosse consentito di entrare sulla scena, una scena tra pari, chi guarda e chi agisce.

Il Novecento ha trovato il modo di rendere uguali eroi ed eroine alla gente comune. Nella cronaca politica, quando i giornali riportano i menu dei capi di partito che si sono accordati a cena o a colazione l’intento inconsapevole è sempre lo stesso: dirci che tutti a un certo punto si lasciano andare al piacere del palato, una categoria democratica, in virtù della quale non esistono più intoccabili da un lato e gente comune dall’altro. 

Ma ci vuole l’eccellente storico per scoprire il particolare che farà tornare alla mente sempre il personaggio che si è incontrato una volta nella sua umanità disvelata. Nessuno è immune dal caratteristico capriccio che rende affabile, alla portata di tutti, anche il santo, la regina, la grande badessa. 

San Francesco andava matto per i mostaccioli, ad esempio. E quale scena più bella di quella della beata Ildegarda di Bingen che regala corone di fiori alle consorelle perché si addobbassero i capelli nei giorni di festa per cantare le lodi del creato? 

Una civetteria che fa persino tenerezza in questa mistica, filosofa, teologa cui si guarda con reverenza ma che in fondo fu chiusa in reclusorio a soli sei anni e amava il colore verde, quello della natura la cui vista le era stata impedita troppo presto? Una civetteria non dissimile da quella della regina di Scozia Maria Stuarda, che per il suo supplizio volle indossare guanti e sottoveste rossa. Aveva pensato proprio a tutto, anche a quello che avrebbe dovuto essere il colore dominante della scena. 

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