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Giovedì, 25 Aprile 2024
Le affinità elettive

Le affinità elettive

A cura di Annalisa Terranova

Vespa, Hitler e il figlio del boss: l’antimafia si fa con le interviste?

C’è anche un risvolto beffardo della vicenda Vespa-Riina jr, ed è questo: tutto il dibattito scatenato dall’intervista a Porta a Porta coinvolge due temi fondamentali, la lotta alla mafia e i compiti del giornalismo. Perché beffardo? Semplice: perché l’Italia li affronta sempre con la stessa grossolana superficialità che sta caratterizzando anche quest’ennesima impennata di indignazione. Mentre la mafia dal Sud ha messo radici al Nord e prospera indisturbata confidando sulla predisposizione alla corruzione di una classe politica indecente, il Paese si balocca con l’antimafia fondata sul sensazionalismo manettaro. Basta non vedere il figlio del boss sul piccolo schermo e la coscienza civile è salva.

Quanto al destino del giornalismo l’aspetto beffardo è che Bruno Vespa, difendendo il suo operato, afferma che intervisterebbe anche Hitler se questi tornasse dall’inferno. Peccato che Vespa – che pure è un grande professionista - non possa proprio considerarsi il campione del giornalismo puro. Non dimentichiamo che in era prima Repubblica  – prima di specializzarsi nelle interviste a Silvio Berlusconi – Vespa aveva definito la Dc – allora partito di maggioranza relativa - il suo editore di riferimento. Insomma campione sì, ma di un giornalismo conformista, consapevole che si conta nel sistema a seconda del grado di vicinanza a chi comanda. 

E infine è beffardo che si strilli tanto al tradimento della funzione del servizio pubblico. Abbiamo dimenticato che i nostri talk sono ormai un circo per fare audience e ciò viene tollerato da direttori generali, vigilanza, presidenti Rai, Parlamento e utenti paganti il canone? E il tradimento del servizio pubblico, che dovrebbe garantire informazione di qualità, quando è cominciato allora? E non si rinnova ogni volta che rissa, insulto e folklore prendono il sopravvento?

Un’ultima annotazione: l’intervista significa che si fanno domande. Né aggressive né pacifiche. Domande. Se il modello dell’intervista compiacente è sicuramente urticante, non lo è meno quello del giornalista rampante e neocinico che assedia il malcapitato di turno snocciolando osservazioni che non sono domande, ma sentenze che assecondano il populismo giustizialista di chi non aspetta altro che scatenarsi sui social. Sicuri che questo sia migliore delle interviste di Vespa?

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