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Giovedì, 25 Aprile 2024
Le affinità elettive

Le affinità elettive

A cura di Annalisa Terranova

Nostalgia dell’avvenire, la mostra sul Msi: i rischi e i meriti di un’iniziativa che è una scommessa

70 anni di Fiamma e una mostra – “Nostalgia dell’avvenire”, dal 20 ottobre al 10 febbraio a Roma, in via della Scrofa 43 - per celebrare il Msi, tra un fiume di ricordi e di foto in bianco e nero, e il volto bonario di Almirante che, in quelle stesse foto,  guarda e “benedice” le sue piazze tricolori, e attivisti estasiati e massaie plaudenti. Tutto, dalla grafica dei manifesti a quella dei volantini e delle riviste giovanili, restituisce un tempo andato, un linguaggio arcaico, certo appassionato, ma non più proponibile. E’ la politica vintage, che attira anche giovanissimi in cerca di una bussola ideale. Giuseppe Parlato, lo storico che ha organizzato la mostra con la Fondazione An, racconta che il suo corso universitario sulla storia del Msi è affollato di ventenni. Cosa cercano? Che gliene importa di quel partito estinto nel 1995 a Fiuggi? Cercano forse un filo che rimetta insieme il puzzle della memoria nazionale, dove troppe pagine sono state aperte e chiuse a seconda delle convenienze. 

Il Msi, appunto. Erano solo squadristi violenti? Erano solo nostalgici? Negare gli aspetti critici e criticabili di un partito sorto sulle ceneri di una sconfitta (il “cupo tramonto” del primo inno del Msi, scritto da Giorgio Almirante) non sarebbe un buon servizio per il popolo missino e per ciò che di esso rimane. Ma occorre anche riportare alla luce i molti aspetti innovativi, dirompenti, anticipatori, che ne caratterizzarono la storia. Una storia che non si può ridurre al solo attivismo, e che ebbe in ogni caso due meriti storici oggettivi: canalizzare in una direzione democratica e legale il risentimento dei fascisti sconfitti e la loro voglia di rivincita, osteggiare il comunismo a viso aperto soprattutto là dove – come a Trieste – i confini nazionali erano minacciati. 

Alcuni scatti dalla mostra del Msi

Sovrapporre questa storia a quella delle formazioni estremiste e manipolate dai Servizi è non solo scorretto ma soprattutto falso: si è trattato di un espediente propagandistico utilizzato negli anni – a partire dalla strage di piazza Fontana – per demonizzare una fetta di elettorato che non si riconosceva nella sinistra e neanche nella Dc e che legittimamente voleva essere rappresentata. 

Il Msi, dunque. Il Msi è stato il partito dove i giovani chiedevano il voto ai diciottenni o affiggevano manifesti contro la leva obbligatoria o manifestavano per il pluralismo culturale nelle scuole e contro i professori ideologizzati, dove i giovani organizzavano i campi Hobbit contro la deriva terrorista della seconda metà degli anni Settanta, il Msi è stato il partito dove si invocava in anticipo rispetto a tutte le altre forze politiche la modifica della forma di governo per dare stabilità al Paese e più partecipazione ai cittadini, il partito dove si denunciava il rischio di trasformare le Regioni in carrozzoni clientelari, il partito che faceva battaglie per l’elezione diretta dei sindaci, il movimento (nome scelto proprio per distinguersi dai partiti che furono protagonisti della prima Repubblica) che prima di tangentopoli e prima dei grillini denunciava le degenerazioni di quella che veniva chiamata all’epoca “partitocrazia”. 

Era infine – ultimo elemento ma non meno importante – il luogo dove circolava una cultura alternativa a quella dominante e su cui solo alla fine degli anni Ottanta si comincia a diradare la nebbia della scomunica, una cultura che non era solo quella dei dissidenti sovietici, di Solgenitsin, ma di tutti quei pensatori della crisi che interpretarono con acume profetico tra le due guerre mondiali il “tramonto dell’Occidente”, quella che riconosceva la grandezza di Giovanni Gentile, che guardava al Rinascimento e al Risorgimento italiano prima di Craxi, quella cultura che poteva liberamente respirare aria di destra e aria di sinistra nazionale, mettere insieme De Maistre e Pareto, entrambi ricompresi nel modello di partito-sintesi che fu il Msi e solo il Msi. 

Sono solo alcuni spunti, da ricordare e su cui riflettere, per evitare l’ostacolo più grande che iniziative come la mostra sul Movimento sociale possono rappresentare: di fermarsi all’amarcord, alla nostalgia, incoraggiando il vizio del torcicollo che fu ed è innegabilmente uno dei difetti di cui la destra italiana  fa fatica a liberarsi. Sarebbe l’ennesima occasione mancata, in un’area politica in cui la memoria è così significativa. Una memoria che può diventare eredità viva, anziché essere ridotta a museo. 

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