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Giovedì, 25 Aprile 2024
Le affinità elettive

Le affinità elettive

A cura di Annalisa Terranova

Saluti romani in Campidoglio

Sui saluti romani di un gruppetto di aderenti al fantomatico nuovo Fronte della Gioventù andati in scena qualche giorno fa nel Comune di Roma si è molto favoleggiato. Sicuramente non è in preparazione alcun golpe, l’eversione nera non è in agguato, lo “sfregio” all’aula Giulio Cesare non è certo più grave di quello inferto da personaggi coccolati dalla sinistra come Salvatore Buzzi

Quella decina di ragazzi con la mimetica e il braccio a molla ha riportato però la memoria dei più accorti e avveduti testimoni delle vicende della destra a una famosa foto di copertina del Venerdì di Repubblica del lontano 1988. Titolo: I fascisti. Sotto, né saluti romani né mimetiche, ma giovani sorridenti, per lo più con giacche di jeans, seduti in posa tutt’altro che truce sulla scalinata della facoltà di Giurisprudenza alla Sapienza. Un’immagine che era il risultato di uno sforzo collettivo del movimento giovanile del Msi (il vero nuovo Fdg) per scrollarsi di dosso gli stereotipi del nero picchiatore. Uno sforzo che portò la destra universitaria a cambiare la sigla Fuan per adottare quella, più neutra e capace di parlare a tutti gli studenti, di Fare Fronte (una storia raccontata dal recente libro di Alessandro Amorese, Fronte della gioventù, Eclettica) . 

Era tattica o strategia? Una domanda che divenne legittima pochi anni dopo, quando in occasione del corteo del Msi a Roma in appoggio a Mani pulite centinaia di giovani, all’altezza del fatidico balcone di Palazzo Venezia, si lasciarono andare ai saluti romani. Saluti che negli anni Settanta erano un segno di sfida a un mondo che rifiutava i militanti di una certa parte (eppure furono vietati dallo stesso Giorgio Almirante dopo il varo della destra nazionale, nel 1972, assieme al lascito di labari e gagliardetti).  Nel 1992, in quell’occasione, i saluti romani potevano essere “giustificati” come segno di rivincita su un sistema ostile e imploso sulle sue stesse lacerazioni, ruberie, malefatte. 

Passati altri vent’anni, i saluti romani (come i pugni chiusi del resto) fanno da cornice ai funerali e alle commemorazioni di chi non c’è più. La loro stessa funzione “liturgica” li colloca nello spazio del passato, di ciò che non può tornare, di un linguaggio legato a memorie per i più incomprensibili. 

Il loro ritorno a corredo di un’iniziativa politica (la contestazione del nuovo, ridicolo, logo della città di Roma voluto dal sindaco Marino) dovrebbe indurre la destra a riflettere su cosa vuole fare da grande, su quali siano le strade da additare ai giovani militanti e su quali “segni” debbano dare significato e forza a queste scelte. Il buon cammino era quello del vero, nuovo Fronte della gioventù degli anni Ottanta o è quello del vecchio, folkloristico  Fronte della gioventù col suo blitz in Campidoglio? Bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà… 

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