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Sabato, 20 Aprile 2024
Le affinità elettive

Le affinità elettive

A cura di Annalisa Terranova

Vai in un ufficio pubblico? Non dimenticare la “faccia feroce”

Frequentare gli uffici pubblici è sempre molto istruttivo. Così, per rinnovare la carta d’identità, ho trascorso circa 45 minuti presso gli sportelli di un Municipio osservandone la normale routine: utenti frettolosi, impiegati nervosi, piccoli fuochi di indignazione subito sedati dalla risposta: “E che lo dice a me? Lo dica a Marino”, cittadini disinformati e sbuffanti, stranieri con lo sguardo perso sul display che indica a quale sportello andare con l’atteggiamento di chi non ci ha capito nulla. 

Ci sono anche dei disabili (assunti credo in virtù della legge 68/99) ad accogliere il pubblico. Svolgono il loro lavoro in modo scrupoloso finché arriva una giovane donna superaffaccendata, le braccia gravate da una pila di scartoffie, contrariata, innervosita dalla sola idea che tutti  i dipendenti non si mettano al suo servizio con immediatezza. Di più, uno degli impiegati della categoria “protetta” osa domandarle dove si sta recando, visto che ha chiamato l’ascensore. Si becca una reprimenda stridula e piccata: “Cerco il signor XXX, prima mi avete detto di andare da una parte, ora mi dite che sta ai piani di sopra, devo prendere l’ascensore, io sto lavorando cosa crede? Mi fate perdere tempo, ma che scherziamo? Guardate che io quando mi incavolo…”. 

L’impiegato temerario che l’ha bloccata presso l’ascensore si offre di accompagnarla dal signor XXX. Passano alcuni minuti e l’ascensore torna giù con la signorina che esce strepitando più di prima. Sostiene di essere stata trattenuta. Di essere stata costretta a entrare nell’ascensore contro la sua volontà. Minaccia una denuncia. Arriva a protestare di essere stata “sequestrata”. Il tizio che esce con lei dall’ascensore farfuglia le sue ragioni e alla fine se ne va borbottando. Si avvicina alla donna furente un’altra impiegata. Le chiede di abbassare la voce, di avere pazienza, perché si è imbattuta in persone disabili, come risultava peraltro evidente al primo sguardo. La tipa non abbassa la voce per niente e ribatte: “Sono handicappati? Bé mi dispiace non sono adatti ad accogliere il pubblico. Bisogna dirlo. Perché io quando mi incavolo… Ma che scherziamo?”. 

Di sicuro lei avrà perso forse cinque-dieci minuti del suo preziosissimo tempo ma non si è fatta una domanda fondamentale: siamo certi che non fosse proprio lei quella che aveva voglia di litigare? Siamo certi che, se avesse incontrato un impiegato efficientissimo, non avrebbe trovato un pretesto per riversargli addosso il suo disappunto? A conti fatti forse era proprio il suo isterismo a risultare incompatibile con un ufficio pubblico. A proposito di anticorpi che mancano ai romani: un po’ di educazione, da una parte e dall’altra degli sportelli, migliorerebbe molto la situazione. 
 

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