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Giovedì, 25 Aprile 2024
Leggere il mondo

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A cura di Chiara Cecchini

Diario di lettura, ottobre 2016: La chimica della bellezza, Le ragazze, Cleopatra va in prigione, Giorni Selvaggi

E’ stato un mese di grandi letture, a cominciare da “La chimica della bellezza” di Piersandro Pallavicini (Feltrinelli), romanzo insolito e divertentissimo finito di leggere ai primi di ottobre.

Poi è stata la volta de “Le ragazze” di Emma Cline (Einaudi Stile Libero), l’esordio dell’anno. Sono andata alla presentazione del libro alla Feltrinelli di via Appia Nuova, dove la nostra ha conversato amabilmente con Legnetta Bentivoglio. Bastano poche righe dalla prima pagina per dissipare ogni dubbio su Cline e la sua bravura. Le ci sono voluti quattro anni per scrivere la storia di Evie Boyd, solitaria adolescente negli inquieti anni ’60 che entra in una comune hippy per seguire il luminoso angelo nero Suzanne, da cui è rimasta affascinata dopo averla vista in un parco insieme ad altre due ragazze mentre si muovevano “fluide, incuranti come squali che tagliano l’acqua”, la prima persona che le abbia dedicato attenzione. La storia prende spunto dal massacro di Cielo Drive compiuto dalla setta di Charles Manson, ma “Le ragazze” è soprattutto un romanzo su quel periodo oscuro e terribile che è l’adolescenza femminile. Cioè che colpisce è soprattutto lo stile di scrittura. Bisognerebbe sottolineare ogni riga, evidenziare ogni paragrafo tanto sono pieni di immagini e sinestesie vertiginose che rimangono impresse nella memoria. 

Non appena mi cadde l'occhio sulle ragazze che attraversavano il parco, la mia attenzione restò fissa su di loro. Quella dai capelli neri con le sue accompagnatrici, la loro risata un rimprovero alla mia solitudine. Stavo aspettando che succedesse qualcosa, senza sapere cosa. E poi ecco

Nutrivo molta curiosità per “Cleopatra va in prigione” di Claudia Durastanti (Minimum Fax), terzo libro di una scrittrice che amo molto e che seguo dal suo esordio “Un giorno verrò a tirare sassi alla tua finestra” (Marsilio). Un romanzo breve ambientato in una Roma periferica e poco battuta, nella quale Caterina vaga inquieta, cercando di restare integra parando i colpi della vita, mentre il suo fidanzato finisce a Rebibbia e lei ha una relazione con il poliziotto che lo ha arrestato. Curiosità ripagata e il libro è talmente bello che spiace arrivare all’ultima pagina perché si vorrebbe durasse di più. Ne parlerò più avanti in un articolo a parte.

Quella sera ho capito che un night doveva avere le stesse luci di un acquario. È più facile andare in fondo se quando ti guardi allo specchio sembri una sirena, una creatura che non esiste

Ultima lettura del mese è, con colpevole ritardo, “Giorni Selvaggi. Una vita sulle onde” di William Finnegan (66thand2nd), un memoir vincitore del premio Pulitzer in bilico fra il romanzo di formazione e saggio sul surf, condito di termini tecnici. Giornalista e inviato del New Yorker, Finnegan ha passato una vita alla ricerca dell’onda perfetta per fare surf. Una ricerca continua che gli servirà per trovare la propria strada nel mondo. Un racconto che parte dall’infanzia alle Hawaii per poi partire all’avventura in giro per i cinque continenti, accettando qualsiasi lavoro pur di restare vicino al mare. Un libro poderoso ed epico (una volta superata la prima parte dedicata agli anni scolastici funestati dal bullismo, forse le pagine meno interessanti perché raccontano di esperienze già scritte e lette altrove), dove tutto si intreccia, trasportato dalle onde: la famiglia, l’amicizia, l’amore, il razzismo, la guerra, l’ecologia, la controcultura. Il surf non è solo uno sport, è una filosofia di vita che passa attraverso la scoperta di se stessi e del superamento dei propri limiti, quando ci si trova a puntare dritti verso l’orizzonte gettandosi tra le braccia dell’onda, amica e assassina al tempo stesso. 

Ma la mia totale dipendenza dal surf non aveva una motivazione razionale. Non ero in grado di opporvi alcuna resistenza: era una miniera senza fondo di bellezza e meraviglie. Non avrei saputo spiegarlo in altre parole. In linea generale, sapevo che riempiva una specie di vuoto psichico ­ collegato magari al mio rifiuto della Chiesa o, più probabilmente, al mio ineluttabile distacco dalla famiglia ­, e che aveva rimpiazzato molti interessi precedenti. Ero un pagano riarso dal sole. Ero stato iniziato ai misteri della vita

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