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Giovedì, 25 Aprile 2024
LibeRIscatti

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A cura di Action Aid

Questo è il posto dove starò

Moussa ha 19 anni e un lungo viaggio alle spalle che dal  suo paese d’origine, il Burkina Faso, lo ha fatto arrivare in Italia passando dalla Libia.

Oggi vive a Napoli e durante il suo periodo di residenza presso lo SPRAR cittadino è stato coinvolto nel progetto This Must Be The Place.

Era il 1983 quando i Talking Heads cantavano This Must Be the Place:

“La casa è dove voglio essere
Ma credo di esserci già (…)
Se qualcuno lo chiede,
questo è il posto dove starò...”

Oggi This Must Be the Place è anche il nome del progetto realizzato da ActionAid in partnership con l’Università degli Studi di Napoli Federico II, L.E.S.S. Impresa Sociale Onlus, Cooperativa Project Ahead e in collaborazione con l’associazione Traparentesi Onlus e Aste e Nodi. Ne fanno parte una trentina fra studenti universitari della Federico II e dell’Orientale e migranti ospitati nei CAS e nello SPRAR di Napoli: si scambiano le loro storie personali, si confrontano per costruire un’esperienza di integrazione unica in Italia. «This Must Be the Place ha due obiettivi. Il primo è quello di favorire il processo di integrazione di un gruppo di giovani prossimi all’uscita da percorsi di accoglienza (CAS/SPRAR) attraverso il confronto e la relazione con coetanei universitari, finalizzati all’azione comune: l’integrazione è infatti il presupposto necessario per la partecipazione attiva alla vita sociale e civile della città. Il secondo obiettivo è garantire il rispetto del diritto allo studio e del diritto alla casa dei richiedenti protezione internazionale e rifugiati» afferma Daniela Capalbo, coordinatrice del progetto.

Una Social Network Analysis svolta dal dipartimento di Scienza Umane e Sociali della Federico II a pochi mesi dall’avvio del progetto ha evidenziato come Moussa sia diventato uno dei nodi centrali della rete di relazioni che si sono create fra i ragazzi durante i vari momenti di condivisione extra progetto. In essi, Moussa è stata una presenza fissa: la notte bianca alla Sanità, il pigiama party a casa di Yuri, la festa di saluto ad Abed, la gita a Gragnano a casa di Benedetta, il pranzo della domenica con la famiglia di Martina, la marcia #primalepersone in difesa dell’art. 3 della Costituzione italiana.

Yuri, uno degli studenti universitari partecipanti al progetto, ha raccontato: «a un anno di distanza mi guardo indietro e mi rendo conto di quanta strada abbiamo percorso, di quanto lavoro abbiamo fatto, spesso faticosamente, e posso provare a tirare le somme di quello che è stato e di quello che potrà essere. In primis posso dire che il tempo speso insieme ci ha uniti molto attraverso la consapevolezza che molte delle preoccupazioni che affliggono ognuno di noi sono condivise. L’abbandono di questa dimensione di individualismo, col tempo, ci ha permesso di costruire un spazio di collettivizzazione dei problemi, un laboratorio in cui ognuno si è sentito a proprio agio, specchiandosi nell’altro e mettendosi in gioco attraverso l’implementazione degli interventi che abbiamo progettato con la speranza di poter dare un apporto migliorativo al nostro contesto. Le nostre azioni mirano concretamente a facilitare l’accesso all’istruzione, a favorire il diritto universale all’abitare in condizioni dignitose e a promuovere una società pacifica, inclusiva e multiculturale».

Oggi Moussa, dopo aver ricevuto il titolo di protezione per motivi umanitari (oggi abolito per effetto della Legge 132/2018), ha concluso la sua permanenza allo SPRAR di Napoli. Il gruppo di amici che si è creato grazie al progetto è stata una risorsa preziosa che lo ha aiutato ad affrontare al meglio questa sua nuova fase di vita: lo hanno aiutato a scrivere il curriculum vitae, a trovare potenziali offerte di lavoro e anche un alloggio. E’ anche grazie ai suoi amici se oggi  Moussa vive con regolare contratto di locazione non distante dal bar in pieno centro in cui lavora e ha espressamente scelto di restare a Napoli , una città che gli ha regalato una seconda famiglia.

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