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Martedì, 23 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Non possiamo farne a meno, di sforacchiare la città?

C'era una volta il progettone risolutore di tutto quanto, quello che facendo tabula rasa del prima del durante e del dopo, ci apriva un futuro di scenari felici e a portata di mano, purché seguissimo a puntino le istruzioni del manuale messo a punto dal nostro tecnico di fiducia. C'è però un particolare, che via via abbiamo imparato a considerare inquietante, ed è il duplice binario su cui scorrono le risposte dell'ingegnere visionario alle nostre fiduciose obiezioni: un percorso detto «basta che», e un altro chiamato «quello non c'entra». Partiamo dal secondo, perché rappresenta la chiave di lettura del primo, dire che una cosa non c'entra, anche se a noialtri pareva di sì, significa che quella visione forse non ha affatto visto tutto, anzi ha visto solo sé stessa. Idiosincrasie fisiche, comportamentali, di contesto, tutto ciò che per noi è assai reale, per il tecnico non esiste, o meglio va eliminato dall'equazione, così che si possa viaggiare veloci sull'altro binario, del «basta che ti adegui». Come però insegna la geometria, le parallele non si incontrano mai, e lo stesso succede per quei due binari: a furia di togliere tutto ciò che non c'entra, si scopre che dall'equazione finiscono per sparire gli esseri umani e tutto quel che hanno fatto sino a quel momento; resta solo il progettone, con la sua logica, pronto ad accogliere … nulla che non sia altrettanto astruso e meccanico.

In fondo certe città «ideali» tecnocratiche nascono e muoiono esattamente su quei binari morti, pensate magari con torri vertiginose là dove la gente vorrebbe stare soprattutto vicino a terra, o velocità supersoniche quando si vorrebbe in media andar lenti, e via di contraddizione in contraddizione. In altre parole, gli innovatori veri sono quelli che un istante dopo aver concepito la loro pensata, iniziano seriamente a plasmarla sui soggetti, il contesto, la storia dentro cui cercherà di calarsi. Oggi una delle più grandi innovazioni urbane, che ci aspettiamo da un momento all'altro di iniziare a vedere per le strade, è l'auto senza pilota, su cui ormai da anni si sta esercitando con più o meno coerenza la capacità degli osservatori tecnici e sociali. Qualcuno si irrigidisce su alcuni aspetti spaziali, altri su quelli degli stili di vita, e per esempio due grandi scuole di pensiero sono quelle della proprietà o del car sharing: alcuni critici non credono che la «diverless car» cambierà gran che l'attuale sistema, secondo cui ogni famiglia o individuo possiede un'automobile; secondo altri, proprio le caratteristiche tecniche, che consentono un uso molto intensivo, puntano invece a un modello condiviso, più simile a quello attuale dei veicoli a noleggio su abbonamento. Sempre dentro queste due opzioni, ci sono anche la scuola urbana e quella suburbana, perché un modello proprietario può benissimo funzionare a modo suo anche nelle basse densità, mentre il car sharing richiede forte presenza concentrata di utenti, ovvero la città.

Ma come si diceva sopra, spunta sempre qualche tecnocrate «visionario», con la sua idea radicale di trasformarci tutta la vita, per il meglio dice lui. Con l'auto senza pilota, spiega qualcuno, si possono liberare le strade e gli spazi, aumentando immensamente l'efficienza grazie all'automazione. Ma si può fare anche di più. Come? Fondendo il concetto di auto automatica e di trasporto urbano di massa nella versione della sotterranea (e qui qualcosa dovrebbe iniziare a stridere, perché le «innovazioni» non solo stanno diventando troppe, ma una pare addirittura un ritorno al passato). Potersi spostare sottoterra con auto automatizzate significa, secondo i promotori, entrare in un flusso continuo, comodissimo e velocissimo, integrato e a servizio di ogni funzione urbana. Ma queste gallerie oggi non esistono, e andrebbero scavate, sia nelle città esistenti, sia nelle espansioni ed eventuali «new town» del futuro. Insomma si tratta di ribaltare concetti, spazi, sistemi infrastrutturali, molto più di quanto già non richieda la posa di tutti i sensori indispensabili per l'auto senza pilota. E questa storia di sforacchiare il sottosuolo evoca tante pensate recenti di altri scavi, come quelli per i parcheggi sotterranei o gli accessi in tunnel a certe zone delle città, che non hanno affatto risolto problemi, anzi ne hanno aggravati. In definitiva, non pare proprio una gran pensata, quella che ha deciso di chiamarsi letteralmente Auto-in-galleria/Car-Tube.

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