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Giovedì, 18 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

La battaglia dei progettini l'uno contro l'altro

Tutti hanno ovviamente, dal loro punto di vista, ottimi motivi per opporsi a certe trasformazioni. Ma in questa epoca di frammentazione molecolare degli interessi, di crisi politica del modello di convergenza che dovrebbe in qualche modo ricomporli, di esplosione terminologica con particolare riguardo per le definizioni radicali e del tutto improvvisate, anche gli ottimi motivi rischiano di evaporare. Si critica spesso il cosiddetto «partito del NO», ma senza cogliere appieno il motivo per cui esprime istanze che non sono tali, salvo appunto conglomerarsi contro altre. Inconcludente e abbastanza patetico, questo partito del NO, perché incapace di esprimere qualcosa di diverso dalla pura reazione spontanea uguale e contraria a un progetto, che è diverso dal proprio. Ma si badi bene: non si tratta di una strategia di respiro contro un'altra, ma proprio solo di specifici progetti, il tuo contro il mio, e qui si calcola l'inadeguatezza diciamo così politica, di quel NO.

Prendiamo un caso teorico di opposizione del tipo classificabile «nimby», cioè di chi non vuole certe cose davanti alla porta di casa o al naso. Si tratterebbe di una posizione politicamente collocabile nell'area ambientalista, se adeguatamente ricomposta in un'idea del genere, ovvero di addomesticamento della trasformazione, cambiamento del progetto, trasferimento locale di alcuni impatti, evoluzione tecnologica. Ma quando la politica latita, o quando si trasforma nel cavalcare piccoli interessi per raccattare consenso, tutto quel che succede è che l'ostacolo viene superato, schivato, stritolato, a seconda dei casi. I negozianti che non vogliono la pista ciclabile a separare sé stessi dai flussi automobilistici e di affari su cui contavano, in fondo chiedono di poter continuare a lavorare, magari cambiando un po' il proprio modus operandi, e facendosi convincere che in fondo si tratta di gestire diversamente mobilità, accessibilità, visibilità dei loro esercizi.

Quando questo scontro diventa invece quello di un progetto contro l'altro, ovvero dei fedeli della pista rossa coi cordoli, contro quelli della sosta libera sul marciapiede, nei casi migliori ci si limita a spostare il fronte dove c'è minore attrito, magari in una via deserta dove la pista ciclabile starà lì a fare bella mostra di sé, soldi buttati per un trofeo delle associazioni di settore. Oppure realizzando esattamente ma autoritariamente quel che si voleva, cioè sostituendo al traffico normale che alimentava quegli esercizi, il più caotico sovrapporsi della ciclabilità al resto: esercenti disorientati, pedoni che si sentono prevaricati, automobilisti che stanno pensando di cambiare meta, e trionfo di qualche burocrate che sventola la perfetta regolarità della procedura. L'esempio della ciclabilità è solo uno dei tanti, ovviamente, le cose non cambiano se si tratta di localizzare una attività (al posto di altre o in concorrenza potenziale con esse), o realizzare trasformazioni funzionali importanti, come inserire attività economiche, modelli edilizi innovativi, infrastrutture di trasporto che modificano stili di vita e percezione della città. Tutto, viene oggi ridotto allo scontro di un progetto contro un altro, col solo risultato di far nascondere interessi poco chiari dietro alle front-person della comunicazione pubblicitaria, a cui appartengono le cosiddette archistar coi loro disegni. E di lasciare che i singoli cittadini coi loro legittimi bisogni, riescano solo a urlare di frustrazione il proprio NO, senza capire che magari ci sarebbe una soluzione a portata di mano.

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