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Giovedì, 28 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Quanto pesano i boschi verticali nella sostenibilità urbana?

Se l'intero pianeta in un modo o nell'altro si sta «urbanizzando» pare urgente e persino ovvio riflettere in modo serio e sistematico su che voglia dire, e soprattutto non fermarsi come idioti all'accezione arcaica, secondo cui sarebbe urbano un posto con una pietra o un pezzo di cemento piazzati sopra, e campagnolo o naturale il posto accanto che quel sasso squadrato invece non ce l'ha. Pare qualche tacca sotto i limiti del banale, un invito del genere, ma quell'idea di «urbano» è così diffusa e spontanea, anche in chi dice di occuparsi faccende per nulla ingegneristiche e materiali, da renderlo sommamente utile.

Per esempio iniziando a imitare virtuosamente il mondo pubblicitario commerciale che, intuendo il nuovo sterminato segmento di mercato che quella misteriosa «urbanizzazione» si porta dietro, ne appiccica l'etichetta a fungere da straordinario valore aggiunto sopra idee, comportamenti, atteggiamenti, prodotti di consumo quotidiano dall'ombrello pieghevole alla musica giovanile sperimentale. Entrambe evidentemente cose fruibili su cime di montagne o abissi oceanici, volendo, ovvero in posti che nulla hanno a che spartire con la città delle pietre e dei semafori a cui pensano studiosi, politici, critici, maîtres à penser assortiti.

Ribaltando completamente almeno uno degli assunti, ovvero il ruolo del «verde» nel definire l'ambiente urbano/planetario, un nutrito gruppo di lavoro abbastanza multidisciplinare prova a ridefinire cosa siano o possano diventare dal punto di vista sociale, ambientale, alimentare, le superfici agricole cittadine. Quelle che di solito il nostro immaginario retrogrado e nostalgico continua a pensare come antitesi per eccellenza della città, della densità, della modernità o postmodernità. E invece potrebbero rivelarsi le vere e proprie infrastrutture portanti della metropoli futura, più efficaci di quelle grigie in acciaio e cemento, oltre che vive, reattive, interattive.

Le domande che si pongono gli scienziati, schematicamente, suonano: a scala planetaria quanto pesano gli ecosistemi messi a disposizione dalla vegetazione urbana? E quante occasioni reali esistono di realizzarli in pratica, ovvero superfici (magari anche verticali) non teoriche di città atte a diventare “capitale naturale”? Quanti e quali servizi all'ecosistema possono fornire, magari anche quantificabili in termini economico-contabili, queste superfici? Tra le statistiche più curiose elaborate nello studio, forse spicca quella che classifica tre tipologie di questo verde potenzialmente agricolo-ambientale tra verticale, tetti verdi, e aree non edificate disponibili, e in cui (udite udite) il rapporto tra il primo e gli altri due sommati risulta molto molto inferiore a 1:100. Segno di cosa? In negativo, che si è fatta troppa ideologia su quell'aspetto dell'approccio alla città sostenibile. In positivo che c'è probabilmente molto lavoro ancora da fare, magari togliendo agli architetti trendy il monopolio della faccenda.

Riferimenti: AA.VV. A Global Geospatial Ecosystem Services Estimate of Urban Agriculture, Earth's Future, gennaio 2018 (eccezionalmente questo link scarica direttamente il file – un po' pesante, quasi 60Mb – da Google-Drive Città Conquistatrice)

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(tabella Earth Future gennaio 2018)

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