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Sabato, 20 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Braccia inopinatamente prestate all'agricoltura

Quando l'angelo con la spada fiammeggiante scaccia dall'Eden Adamo ed Eva, colti in flagrante nel peccato originale, il tono della voce che rimbomba alle loro spalle non pare affatto pedagogico, nel promettere infinite generazioni future di sudore della fronte per riscattarsi dalla colpa. E naturalmente, come ci insegna la storia, si tratta di quello stesso succo di fatica che irrigherà prevalentemente i campi, i «solchi bagnati di servo sudor» per usare le parole di Alessandro Manzoni. Insomma l'attività primaria di produzione agricola, diciamocelo molto chiaramente, ha una meritata e pessima fama tra la stragrande maggioranza del genere umano, esclusi forse i discendenti di quell'intellettuale poeta che in certi quadri classici contempla (rigorosamente senza partecipare) il lavoro altrui nei campi dall'alto di una collinetta. E in questa prospettiva appare ancor più chiara ed efficace quella definizione maledizione che scagliavano tanti anni fa Marx e Engels, di «idiotismo della vita rustica» inchiodata a quei maledetti solchi bagnati di sudore. A stigmatizzare non tanto una inesistente tara mentale specifica del contadino, rispetto alla classe dominante o al cugino proletario industriale, ma la costrizione degli orizzonti chiusi (idiotismo come idioma localista) determinati da quell'artificiale dominio imposto dalla natura sull'uomo.

Solo in tempi molto recenti, e sulla spinta prima della democratizzazione e modernizzazione agricola, poi della sensibilità ambientalista e delle emergenze planetarie, dal cambiamento climatico, all'urbanizzazione, alla fame, il settore primario inizia a staccarsi da quell'immagine oppressiva, per recuperare una propria dignità, per non dire ruolo di punta e di promessa, come nelle discussioni a margine dell'evento Expo milanese, dedicato alla «Energia per la Vita». Immagine senza dubbio accattivante, ma che proprio la recentissima genesi condanna necessariamente ad una certa fragilità e superficialità, se non teniamo nel dovuto conto quegli infiniti secoli in cui l'attività agricola corrispondeva al 99% nella percezione di tutti a quello «idiotismo della vita rustica», per quanto decantato da chi si limitava a trarne vantaggio senza partecipare.

Si parla in questi giorni sulla stampa, di una scuola di Nuoro che applica a scopo punitivo-educativo una specie di temporanea «restituzione delle braccia strappate all'agricoltura», degli studenti colti in flagrante nelle solite mancanze scolastiche, dai ritardi in su. Spiegano, le autorità di istituto, che così si vogliono sommare una sana attività all'aria aperta, l'esercizio fisico, il vantaggio collettivo del frutto di quel lavoro (la realizzazione di progetti), e al tempo stesso il potere pedagogico educativo della consapevolezza di aver fatto qualcosa che resta nel tempo. Apparentemente tutto magnifico, e in effetti quella punizione sembrerebbe assai più adeguata e redentrice del chiudere qualcuno in uno stanzino buio, o metterlo in ginocchio sui classici ceci secchi, per assenze ingiustificate o negligenza. Ma non può non tornare in mente l'antico adagio medievale, secondo cui le buone intenzioni, specie perseguite con troppo entusiasmo, alla fine servono a lastricare un percorso che porta da tutt'altra parte. All'inferno, dicevano alcuni saggi abati un tempo, o forse solo a odiare spontaneamente per tutta la vita il lavoro manuale e i campi, diremmo noi oggi. Del resto, giusto per restare alle ottime intenzioni in ambito scolastico, non lo sappiamo un po' tutti, che tra i libri più detestati nella storia anche degli appassionati lettori, stanno proprio quelli imposti a scuola, anche se autentici capolavori letterari? Magari riflettere un istante, aiuterà a modulare meglio questa specie di didattica alternativa, che un po' pare partorita dalla Banda dei Quattro della Rivoluzione Culturale cinese, più che da attente considerazioni pedagogiche.

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