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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

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A cura di Fabrizio Bottini

Cautele sull'auto elettrica di massa

Esce in questi giorni uno studio di ATKerney Energy Transition Institute intitolato «I rischi dell'auto elettrica per emissioni e risorse», la cui tesi è già così abbondantemente riassunta, e di tesi abbastanza ovvia si tratta: tutti i meravigliosi scenari di cieli blu e veicoli «ecologici» scorazzanti per città e campagne, così come ce li presenta la pubblicistica di settore, corrispondono alla realtà molto meno di quelle casalinghe estasiate che lavano il pavimento in tre minuti coi tacchi e le unghie laccate impeccabili. Perché come al solito, non esiste una bacchetta magica in grado di risolvere da sola tutti gli immensi e innumerevoli problemi accumulati da un secolo e passa di sistema industriale, commerciale, scientifico-tecnologico e cultural-politico. In altre parole, così come l'automobile non è stata affatto un semplice sganciare i cavalli da davanti alla carrozza, sostituendoli coi cavalli vapore incorporati nel telaio, allo stesso modo per fare l'auto elettrica non basta cambiare il carburante, ci vuol ben altro. E la cosa vale solo per quell'aspetto, pur centrale ma in qualche modo marginale, che è un impatto ambientale, locale e globale, come quello affrontato dal rapporto ATKerney.

Obiettivo dello studio sono i decisori politici, sul punto di introdurre regole e incentivi vari alla diffusione commerciale pratica di queste nuove tecnologie, perché secondo gli autori «Oggi i mercati si trovano alla soglia di una crescita potenzialmente esplosiva, ma occorre procedere con la massima cautela». Quali sono in sostanza i rischi? In linea di massima tre, e fortemente sottovalutati finché la diffusione di questo tipo di mobilità ha occupato nicchie quasi risibili: scarsità delle risorse naturali connesse; questioni ampiamente irrisolte riguardo a riciclaggio e smaltimento di batterie; effettiva riduzione delle emissioni di anidride carbonica (che è uno dei principali motivi del successo dell'elettrico).

Scarsità di risorse – lo leggiamo spesso, come nei paesi in via di sviluppo crescano vere e proprie guerre per il controllo di risorse scarse legate alle nuove tecnologie, dai telefonini, ai conduttori. Scarse significa, detto in altre parole, limitate, non inesauribili, oltre che circoscritte ad alcuni territori. Con le tecnologie attuali per le batterie, litio e cobalto sono due degli elementi «a rischio» maggiore: le risorse mondiali note, e fermandosi ai ritmi attuali di produzione (con percentuali di veicoli elettrici da prefisso telefonico), coprirebbero solo pochi decenni, nemmeno il tempo per far entrare e regime un sistema analogo a quello della propulsione a benzina. È il caso allora di puntare decisamente su politiche in grado di destabilizzare aree, sconvolgere mercati, rivoluzionare le città, su una base simile?

Smaltimento – La premessa, piuttosto agghiacciante di per sé, è che le batterie al momento NON si possono smaltire. Si spera ovviamente che nuove conoscenze tecnologiche e organizzative lo consentano in futuro, ma si conta comunque da subito sullo sviluppo di una filiera di riuso, una volta esaurite per le auto, a scopi «fissi» di alimentazione non in movimento a cui sono adeguateMa si tratta (come già accaduto e ancora accade ahimè) di questioni tecnologicamente ovvie, socio-politicamente ed economicamente tutte da organizzare, e qui le decisioni risultano essenziali, per esempio per evitare disastri analoghi alle scorie nucleari scopate sotto qualche pavimento remoto e pronto a riesplodere, alle isole di plastica galleggiante, insomma a tutte le discariche mondiali in agguato per presentarci il conto ambientale.

Emissioni – Esistono vari modi di calcolare le emissioni di un veicolo: il primo, empirico ed essenziale, quello a cui pensiamo immediatamente, è la macchina a regime che ci passa davanti su una via di città, e sembrerebbe lampante che quella elettrica è immensamente più ecologica di quella a benzina o diesel. Ma questa pura impressione superficiale, come ovvio, non tiene conto né dei processi produttivi del veicolo e delle sue varie componenti, né del sistema della rete di alimentazione e manutenzione, né dei calcoli comparati sul ciclo di vita, del tutto e delle componenti (compresa ad esempio la fase di smaltimento citata sopra). I calcoli effettuati sinora, sulla base di riscontri pratici assai limitati come i veicoli circolanti della Tesla e altri, appaiono contraddittori e discordanti: indispensabile stabilire quantomeno uno standard affidabile, prima di imbarcarsi nell'impresa.

CONCLUSIONE – Anche mettendo nel conto che il citato rapporto della ATKerney, come tutti gli studi del genere, può essere fortemente condizionato o al limite fuorviante per chi osserva le questioni dall'esterno del mondo tecnologico-commerciale, la tesi di fondo, ovvero che la politica bene farebbe a non sottovalutare certe implicazioni, pare del tutto condivisibile. Oserei aggiungere, come spesso faccio in queste note sulla città, gli spazi e il flussi di comunicazione, che l'aspetto centrale pare essere quello dei nostri comportamenti e aspirazioni, ovviamente mescolati all'offerta commerciale e pubblica. Facendo per ora solo riferimento al primo punto, quello delle risorse esauribili in breve tempo, pare evidente come un processo di «demotorizzazione», ovvero drastica riduzione dei veicoli circolanti, sino al 90% in meno come previsto da alcuni, possa proporzionalmente moltiplicare l'arco di vita del sistema. E senza intaccare il diritto alla mobilità individuale e collettiva, se pensiamo a una «transizione degli utenti» da proprietari di oggetto a puri utilizzatori di servizio, attraverso strumenti di condivisione tutti da mettere a punto. Ma ci torneremo sicuramente in altre puntate di questo blog.

Riferimento: Romain Debarre, Daniel Gilek, Natural resources and CO2: hazards ahead for battery electric vehicles? A.T. Kearney, Energy Transition Institute, 2018 (visualizza direttamente il pdf del rapporto dal sito)

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