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Venerdì, 29 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Consumismo di suolo

Negli Stati Uniti sono stati pubblicati alcuni dati censuari, che hanno ringalluzzito alcuni, e molto depresso altri. Accade a quanto pare ciò che i commentatori più destrorsi e tradizionalisti considerano una specie di fatto umano ineluttabile, addirittura caratteristico della vitalità della nostra specie nel suo rapporto con l'ambiente: è in atto una nuova (ennesima) migrazione suburbana. 

Più precisamente, dopo il blocco indotto dalla crisi finanziaria immobiliare del 2008, i pignoramenti, i quartierini lasciati a metà come carie disperse ovunque sullo sterminato territorio del paese, quegli stessi spazi iniziano a tornare a nuova vita man mano le case vengono terminate, vendute, occupate. Parrebbe una sconfessione su tutta la linea di tanti studi urbani-sociologici accumulati negli ultimi anni, che dipingevano un mondo di hipster a popolare quartieri classicamente urbani, a orientamento pedonale lontano anni luce dalla centralità automobilistica, intenti a nuovi stili di vita, consumi, professioni, aspirazioni.

Del resto i tradizionalisti stavano in agguato da parecchio al varco generazionale, avvertendo che quegli stili di vita, quartieri, aspettative, erano una bolla di sapone destinata ad esplodere nel momento stesso in cui la natura avrebbe fatto il suo corso, nell'istante fatale in cui cioè sarebbe scattato il normale istinto a metter su famiglia e far figli. 

Ti voglio vedere io, ripetevano dai loro pulpiti, a fare l'hipster urbano senza auto, fuori tutto il giorno a spolliciare su un tablet dai tavolini di un caffè, con un miniappartamento da trenta metri quadri, quando ti ritrovi con le responsabilità di una famiglia. La quale famiglia, secondo i tradizionalisti e l'immenso coacervo di interessi che li sostiene, trova collocazione naturale in una casetta con giardino, a ragguardevole distanza dalla metropoli peccaminosa, e poi tutti gli altri riti, dal pendolarismo di lungo corso, al sabato al centro commerciale, al barbecue coi vicini socialmente omogenei in cui culminano le relazioni. Ma c'è un aspetto, nell'oggettività dei dati censuari appena pubblicati, che contraddice profondamente la tesi suburbanocentrica della destra sociale.

Come sottolinea il periodico di tendenza Slate, quello che si sta verificando non è affatto analogo alla suburbanizzazione primigenia di massa di metà '900, per il semplice fatto che soggetti e immaginario sono del tutto diversi. Fra l'immediato dopoguerra e gli anni '70, infatti, la grande migrazione verso la villettopoli degli steccati bianchi era parallelamente un processo di promozione sociale: proprietà della casa, nuove auto, consumi opulenti, e soprattutto idea di progresso. Non è certo un caso se spesso suburbanizzazione si legge «white flight», ovvero fuga del ceto medio bianco dal degrado delle città, abbandonate a chi vi restava fatalmente intrappolato. 

Oggi, ci racconta Slate, chi va a cercare la villetta con giardino a un'ora di auto dal posto di lavoro (e a un'ora di auto da tutto quanto non sia dormire o ridipingere lo steccato), sono le fasce di reddito medio-basse, non certo l'avanguardia sociale del progresso. Il che, va benissimo uguale per chi in fondo vede in quegli stili di vita il motore economico tradizionale, dai consumi di benzina, ai beni durevoli, ai classici sprechi energetici e così via. Ma dovrebbe far suonare il campanello d'allarme a chi aveva creduto che bastasse il rivolgimento culturale e il mercato di nicchia hipster, o della gentrificazione, per innescare nuove dinamiche più amiche dell'ambiente e sostenibili. Adesso si vede, che i consumi di suolo continuano, e la città sta solo diventando il posto dei ricchi, non la casa di tutti. Urgono politiche pubbliche serie, magari un po' più articolate dei soliti architetti che rammendano periferie riprogettando le panchine.

Su La Città Conquistatrice uno dei temi chiave per la rinascita urbana è riassunto nel tag Densificazione


 

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