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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Dagli Appennini allo Sbando

Breve recensione del libro, scritto a quattro mani da Franco Arminio e Giovanni Lindo Ferretti, L'Italia profonda. Dialogo dagli Appennini (GOG Edizioni, aprile 2019). Una conversazione riguardante un territorio marginalizzato; da alcuni decenni in lento e costante declino che gli autori vivono in prima persona avendolo eletto come propria residenza.

Voyeurismo mistico antimoderno, queste le tre parole che mi sono uscite dopo averlo letto di getto. Ad una successiva più lenta ed attenta lettura c’è qualcos’altro oltre il voyeurismo, oltre il misticismo-religioso e oltre la nostalgia premoderna che ne permea gli scambi e i contenuti; ma è talmente embrionale che è difficile da cogliere. Forse nemmeno gli autori ne sono consapevoli e forse la conversazione in formato pamphlet è servita loro per chiarirsi le idee.

Chi non è addentro a certi meccanismi territoriali - il testo fa riferimento alle cosiddette «aree interne», quel 60% di territorio nazionale fatto di piccoli centri, fragile, marginalizzato, una volta colonna portante dell’antropizzazione della nostra penisola - non viene certo aiutato da un testo del genere, anzi, questo piccolo libro rischia pure di essere un cattivo navigatore per chi volesse interessarsi a certe tematiche: ti fa andare fuori strada e inizi a incavolarti col mondo di aver perso la bussola. O meglio: te la prendi con «la città» che, nel linguaggio dei due, è tutto ciò che, per esclusione, non è «paese». È quella roba che sta laggiù, in fondo. Dove? In fondo… laggiù, in pianura, finita la valle, oltre la galleria, più vicino al livello medio del mare. Che laggiù esistano altre aree interne - periferie, territori in via di dismissione o svuotati che hanno problemi simili a chi vive nell’Italia profonda - non sfiora proprio la mente ad Arminio e Ferretti. Quella là è la città capitalistica, globalizzata, sradicata e atea che tutto divora. Fine.

Eh sì che qualcosa - tra un Dio che vedono dappertutto (anche se il Dio che appare ai due non sembra essere coincidente) e un albero che va fotografato e portato a casa - di interessante fa capolino. Arminio si rende conto che una via sarebbe necessario trovarla, evitando il turismo massificato insostenibile oppure il completo abbandono senza alcun accompagnamento alla eventuale morte. Si pone il problema che un’alternativa bisogna cercarla rimettendo al centro il territorio nella sua interezza. D’altro canto però, pare che Ferretti la soluzione l’abbia già bella e pronta: via le tasse, i lacci, i laccioli e la solita burocrazia centrale (che equipara alle deportazioni di Ceausescu; sì, ha scritto proprio così). Facile no?

Alla fine è la solita soluzione che viene ultimamente proposta per qualsiasi altro territorio, interno, esterno, centrale, adiacente, più o meno sviluppato che sia: facciamo sparire lo Stato e tutto si risolverà. Strano che non abbia anche indicato qualche strada mancante da costruire per raggiungere più velocemente certi ambiti e chiudevamo il cerchio. Forse è proprio questo che li differenzia (la mancanza di fiducia in qualsiasi infrastruttura, materiale o immateriale che sia) dal conservatorismo sviluppista che imperversa in molti settori di questo paese e che rende i due autori discretamente coerenti, simpatici ma alla fine inutilmente superflui assieme alla loro supposta battaglia. Se non addirittura inconsapevoli complici di quella modernizzazione che loro vorrebbero abbattere e che sicuramente tenterà di usarli, come un fiore all’occhiello, per continuare a divorare i territori in declino.

D’altra parte è anche difficile chiedere alternative a chi vive di parole e pensieri. A chi, per propria stessa ammissione, è un «residente ad oltranza» oppure un residente di ritorno che se lo può permettere dopo aver passato la propria vita a vivere le più varie esperienze. Non possono usare altri termini (contadino, artigiano, commerciante…) per definire se stessi che potrebbero maggiormente avvicinarli alla realtà che descrivono. Sanno bene, anche se non lo dicono, che il loro limite sta nel nell’amare in maniera intellettuale un mondo che chi ha vissuto veramente, ficcando le mani nella terra, rifugge e scappa perché, quella roba laggiù, sarà anche capitalistica, sarà anche sradicata, globalizzatrice e atea ma alla fine una speranza, in mezzo ad altri uomini e donne (in comunità direbbero loro), te la dà.

La Città Conquistatrice – Paesologia 

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