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Sabato, 20 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Esplosione urbana e giochetti di parole

La tecnica della Torre di Babele, quella di far confondere e quasi impazzire la gente trasformando la comunicazione in un ginepraio inestricabile, non è affatto prerogativa divina. Forse l'episodio raccontato nella Bibbia sarà anche stato il primo, ma poi ha trovato come quel noto settimanale di enigmistica, «innumerevoli tentativi di imitazione». Perché come strategia difensiva si dimostra assolutamente efficace, quella di far mirare l'avversario al bersaglio sbagliato, mettendosi al riparo senza ripararsi affatto e continuando a farsi gli affari propri come prima. Nella tutela dell'ambiente e del territorio, questa cosa della comunicazione, del senso delle parole, nei tempi moderni è stata praticamente un caposaldo della politica, in grado di mobilitare le masse e le energie di intere generazioni, oppure appunto di costruire bersagli mobili e falsi da offrire in pasto ai gonzi. Si comincia a inizio '900 con lo slogan di straordinario, rivoluzionario successo, la «città giardino», che via via finisce per significare tutto e il contrario di tutto (passando dalla giustizia sociale ai più odiosi quartieri esclusivi per ricchi, o dall'equilibrio urbano-rurale alla più micidiale dispersione speculativa), e si arriva ai nostri giorni con il neologismo SPRAWL.

La prima volta che qualcuno decide di usare quella vera e propria parolaccia per parlare di scempio del territorio, non si tratta di una decisione facile. Siamo negli anni '30 e in un contesto pudibondo come il vecchio Sud americano, dove si tollera benissimo il razzismo ma non il turpiloquio, e l'architetto paesaggista che tiene una conferenza ad Atlanta, dedicata ai grandi progetti di trasformazione lo sa bene. Per questo scandisce la parolona sprawl, a descrivere le casette sparse ovunque ci sia una stradina per arrivarci, sottolineando che sono qualcosa di più che brutte e disordinate, «stravaccate» appunto, ma pure dannose perché interrompono la continuità dei campi, delle piantagioni, di quello che fa la ricchezza di tutta la regione. Ma qualcun altro ha già intuito che lì ci si può guadagnare molto di più che da tutte le piantagioni del mondo: ogni casetta sparpagliata alla carlona, vuol dire vendere più automobili, benzina, e poi televisori, lavatrici, motofalciatrici, vernice per lo steccato bianco, energia per riscaldare e illuminare, e poi prodotti via catalogo postale, e giornate al centro commerciale … insomma tutto un mondo, anzi un Sogno, come lo chiameranno pubblicitariamente.

Ma sprawl era e sprawl resta, così bisogna anche lavorare sulla parola, renderla accettabile, ripeterla all'infinito ma cambiandone gradatamente il senso, ribaltarla, insomma banalizzarla. Del resto, per usare invece un termine analogo italiano, non è accaduto così anche per la cosiddetta «cementificazione», o per i cosiddetti «ecomostri»? Si inizia col neologismo che fa davvero impressione, che descrive e stigmatizza fenomeni inquietanti, poi via via (a nulla serve provare ad avvertire gli interessati: quelli se la prendono con te e vanno avanti imperterriti) tutto si diluisce nella melassa appiccicaticcia del conformismo un po' ignorante. Cementificazione è, alla fin fine, tutto ciò che non piace a chi la chiama così, vai a vedere e si tratta di un paio di edifici, neanche brutti di per sé, legalissimi e al posto giusto, che però levano il panorama abituale dalle finestra del tinello di chi scrive indignato al giornale locale. Ed ecomostro magari il mucchio di spazzatura lasciato nel posto sbagliato, dove lo vede il presidente di un comitato: lo levi da lì, o ci piazzi una siepe, e fine della «emergenza ambientale».

Esempi come altri, di banalizzazione che sarebbe innocua se non finisse per sviare dai problemi seri. Così si legge infinite volte sulla stampa nazionale e internazionale, di conflitti locali e istituzionali: quel nuovo piano o progetto sarà o non sarà sprawl? Oppure, più sottilmente, lo possiamo chiamare espansione urbana, dispersione suburbana, o come va di moda suburban retrofitting, o ancora densificazione? Per non parlare della gentrification, ormai oscillante tra il minimo dell'apertura di un nuovo negozio «sospetto» in una via tradizionale, e il massimo della demolizione e ricostruzione dell'intero quartiere, tutto ricadente sotto il medesimo, stravolto termine. Così, ascoltando gli slogan dei cittadini indignati, o leggendo i titoli della stampa, finiamo per non capir quasi nulla. Il che, nella cosiddetta epoca dell'informazione, pare quantomeno patetico.

Su La Città Conquistatrice come sempre molti articoli sulle parole della città

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