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Giovedì, 28 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Politiche urbane realiste o conservatrici?

La famosa frase di Marshall McLuhan secondo cui «il medium è il messaggio» si può leggere e applicare come prospettiva a tante cose ben diverse dall'originaria scatola della televisione che invece dei contenuti finisce per comunicare prevalentemente sé stessa. Provavo tempo fa in questo blog a interpretare in quel modo certe idee di «trasformazione urbana partecipata», che lette attraverso i loro specifici scelti strumenti del comunicare si rivelavano molto meno partecipative, almeno dal punto di vista dei proponenti. Erano quelle piazze dette di Urbanistica Temporanea in cui in teoria i cittadini stessi lasciati accedere entro uno spazio liberato (dalle automobili, in genere) ne stabilivano da soli forme e funzioni, costruendosi un assetto a cui si poteva poi semplicemente acconsentire fissandolo in Urbanistica Definitiva, attraverso certe trasformazioni fisiche. Ma il solo fatto di continuare a leggere quei luoghi, come facevano i progettisti architetti e un po' anche i decisori politici, come «quelli contrassegnati dal marchio», inquadrati dall'alto così come dall'alto erano pensati, anziché ascoltare semplicemente gli utenti in modo sistematico, la raccontava diversa rispetto alla pura ideologia della partecipazione e dell'autogoverno delle trasformazioni urbane. Nulla più di uno spunto critico, si badi bene, ma mi è tornato in mente come prospettiva di osservazione seguendo i vari comunicati di un'altra, assai più importante e «politica» operazione di trasformazione urbana.

Da alcuni anni a Milano, in corrispondenza del nodo trasportistico di Rogoredo, si è insediato il principale mercato della droga del nord Italia. Il principio è quello commerciale banale della massima accessibilità del luogo, e di uno spazio urbano che consente ottima operatività a quei commerci illegali: la stazione ferroviaria e della metropolitana, a ridosso della Tangenziale, e attorno luoghi del tutto privi di vigilanza spontanea e presidio adeguati, pronti ad essere trasformati. Il più importante è senza dubbio il cosiddetto Boschetto della Droga, una zona a poche decine di metri dalla stazione, in fregio alla ferrovia e al rilevato stradale, riparato dalla vista e dotato di comodissime vie d'accesso e di fuga. In pratica anche tutto ciò di sgradevole (a dir poco) che avviene negli altri dintorni dello scalo e dentro la stazione stessa, è un riflesso e sintomo di quel nucleo centrale, del Boschetto. Appare quindi evidente trattarsi di un problema complesso con aspetti preponderanti socio-sanitari e di ordine pubblico (l'illegalità del commercio, il disturbo della quiete, le attività «indotte» variamente degradanti) a cui si affianca un problema spaziale, vuoi di inaccessibilità degli utenti normali al verde e al quartiere, vuoi di degrado fisico della zona abbandonata. E qui entrano in campo gli interventi e la loro comunicazione.

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(foto Fabrizio Bottini)

Perché l'interesse in quella zona è senza dubbio molto sfaccettato, e comprende tutti gli aspetti, andando ben oltre i primissimi proclami dove un po' goffamente si dichiarava in pratica: contro il Boschetto della Droga tagliamo il Boschetto, naturalmente facendoci scortare da schiere di poliziotti. Da tempo si è compreso quanto la battaglia sul territorio contro queste attività illegali e il degrado che si portano appresso debba articolarsi innanzitutto sul fronte socio-sanitario, negli aspetti sia medici che psicologici che assistenziali, e poi (parallelamente) riguardare anche il «contenitore urbano», degli spazi fisici e di relazione dentro cui le attività illegali si sviluppano. Certo non si possono fermare i flussi dei trasporti pubblici di Rogoredo che stanno alla base dello «hub commerciale macroregionale» delle sostanze illecite, ma è possibile per esempio riconsegnare ai cittadini della zona e dei quartieri limitrofi lo spazio verde, bonificato e reso più sicuro, sul quale esercitare poi la sorveglianza spontanea, i cosiddetti «occhi sulla strada». Ma visto che sottotraccia questo obiettivo sociale resta pur sempre il motore immobile dell'operazione, i suoi strumenti comunicativi finiscono per qualificarlo, per dargli un senso politico. Mettere in primo piano, come succede per la soverchiante maggioranza dei comunicati, le «pecore antidroga» di Italia Nostra, gli orizzonti culturalmente neocontadini del verde restituito alla nostalgia ruralista, e last but not least la richiesta di collaborazione degli Alpini, magari con qualche festa dei canti guerreschi sul Piave e delle damigiane di cameratesco vino, non pare esattamente un modo equilibrato. Spero di essermi spiegato, e se non l'ho fatto basta chiedere.

Qui il citato pezzo – comparso in questo blog il 1 ottobre 2018 - sulle trasformazioni urbane partecipate ma non troppo

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