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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Gli apprendisti stregoni della questione delle abitazioni

C'è una città che sta perdendo a velocità vertiginosa la sua stessa anima: multietnica, multiculturale, ma anche di grande complessità sociale per ceti, redditi, mestieri, aspirazioni e competenze. Lo si legge semplicemente nelle statistiche anagrafiche, senza troppe elucubrazioni, e la ragione è tutta economica, perché in nessun modo la maggior parte delle persone medie riesce a trovar casa: prezzi troppo alti se non si è ricchi sfondati (e i ricchi sono per definizione una minoranza). Tutte le politiche messe in atto sinora dalla pubblica amministrazione, come la regolamentazione degli affitti a tutela delle fasce più deboli per mantenere almeno gli abitanti esistenti sul territorio, si sono comunque rivelate inefficaci, perché anche là dove esistevano queste case artificialmente accessibili, il mondo attorno non si sposava affatto con loro: costava sempre di più sino a raggiungere prezzi inaccessibili tutto il resto, a partire dal banale mangiare. E i proprietari degli appartamenti a fitto controllato non sopportavano di non potersi unire all'aumento di ricchezza che interessava gli altri immobili, e facevano di tutto per liberarsi di quegli inquilini poco solventi. Tutta questa storia in realtà non è assolutamente vera, anche se contiene molti elementi di verità: è il racconto di un economista neoliberale convinto di un paio di cose abbastanza surreali: che abitare sia un prodotto come una scatola di pelati, da trattare come tale secondo una sua legge della domanda e dell'offerta, e che l'ostacolo al paradiso della casa accessibile a tutti come mezzo chilo di pelati, siano gli urbanisti stupidi e dirigisti, che inventano un sacco di regole inutili, buone solo a renderli importanti.

Perché secondo il criterio dell'abitare-prodotto di consumo inventato dal nostro economista, ci sono solo due modi per abbassare i prezzi diventati inaccessibili: il primo è impoverire tutto il contesto, così che la gente in generale, e soprattutto la gente dotata di mezzi, non abbia alcun interesse particolare ad abitare in quella città, facendo ovviamente calare i prezzi per calo di domanda; il secondo modo per far calare i prezzi è invece agire sull'offerta, mettendo sempre più case sul mercato, saturando il mercato finché ci siano più case che potenziali abitanti. Qualcuno (in realtà parecchi, ma quando ci si scontra con la Fede è dura) prova a far ragionare questi ottusi fanatici del «libero mercato» applicato all'universo tutto, ragionando sulla complessità urbana e sociale dentro cui si vorrebbe allegramente rovesciare il loro incremento dell'offerta di cubature residenziali a vanvera. Ma si sente rispondere con tanto di note a piè di pagina, riferimenti bibliografici e intricatissime tabelline, colossali stupidaggini del tipo: «Eliminare gli assurdi ostacoli alle nuove costruzioni [ovvero cancellare i piani regolatori n.d.t] si tradurrebbe in una forte crescita economica, inducendo cittadini a spostarsi da un centro urbano meno produttivo a un altro». E del resto cosa ci si deve aspettare da una sedicente scuola di pensiero che considera lo slumterzomondiale brulicante di ratti e miseria come modello di vitalità economica, giusto con qualche difettuccio di sporcizia di troppo?

Tutto qui sta il punto, e non certo nel difendere a spada tratta e dogmaticamente la professionalità o meno di chi redige e approva le regole della convivenza urbana in termini di spazio fisico: quelle si cambiano al cambiare del contesto, delle aspettative, delle conoscenze scientifiche. Non si cancellano però con un colpetto di mouse, giusto perché interferiscono con le tabelle contabili di qualche stupidotto che si è accorto dell'esistenza delle città per puro caso, leggendo qualche postilla in corpo 8 a piè di pagina di un manuale aziendale. Le politiche urbane hanno contenuti sociali, ambientali, e anche economici (sic) piuttosto seri e sedimentati da decenni, da secoli, non sono certo perfette, ma perfettibili per propria natura, sempre però tenendo nel conto su quale oggetto di applicano, ovvero il territorio urbano e le dinamiche che da esso scaturiscono. Mentre questi apprendisti stregoni, determinati quanto tonti, pare abbiano in mente giusto il meccanismo della speculazione finanziaria: si compra, si gioca al rialzo o al ribasso, e si rivende scappando col malloppo verso nuove avventure e lasciandosi alle spalle cadaveri e macerie. Su cui magari tornare a lucrare più tardi, con nuovi slogan cortina fumogena. Il link è all'articolo di Bloomberg citato in apertura, che sostiene sciaguratamente quel genere di tesi nel caso di San Francisco, «risolvendo la questione abitativa» così. Disgraziati voi e chi vi dà retta.

Noah Smith, How Affordable Urban Housing Stays Affordable, Bloomberg, 7 dicembre 2017

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