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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

L'imbuto per l'alimentazione forzata di cemento

Ogni tanto qualcuno avverte sintomi di disagio, ma se non sa o non vuol proprio saperne di considerare la propria eventuale malattia, non c'è proprio nulla da fare: puntualmente si limiterà a cercare una cura sintomatica e provvisoria, del tipo che quasi sempre peggiora il male, generando a sua volta altri sintomi a cui si risponderà in maniera egualmente inadeguata.

Un amico attento osservatore delle dinamiche territoriali locali di un'area pedemontana del nostro Nord-Est, mi segnala come sia comparso nelle pagine di cronaca dei giornali l'ennesimo «allarme infrastrutture» degli operatori economici. Trascrivo qui letteralmente l'incipit di un articolo del Corriere del Veneto, cronaca di Vicenza del 2 febbraio: «Pedemontana, i territori (e gli artigiani) alzano le barricate: senza nuove bretelle e adeguamenti alla viabilità ordinaria sarà un bagno di sangue per chi vive qui». Ed ecco sfornato fresco fresco un ottimo esempio di quel che si diceva prima: la malattia fa capolino coi suoi fastidiosi o addirittura inquietanti sintomi, ma chi non sa o non vuole riconoscerla invece – poniamo – di mettersi a letto un giorno o prendere l'aspirina, preferisce una diagnosi mistica e un appello alle oscure forze della natura, magari appoggiandosi a un apprendista stregone.

Dove la malattia (scambiata a suo tempo per la cura) è la Pedemontana intesa come autostrada, così come hanno deciso di chiamare questo tipo di infrastrutture «tangenziali esterne» gli interessi che, nelle nostre regioni industriali settentrionali, continuano da decenni a perseguire il cosiddetto sviluppo del territorio. Sviluppo un tempo apparentemente finalizzato a migliorare i flussi produttivi, ovvero i collegamenti interni ed esterni dei distretti industrial-artigianali locali, ma poi via via involuto su se stesso, a produrre e riprodurre territorio urbanizzato, capannoni che vengono su, si riempiono per poco tempo di qualche attività, si svuotano, illanguidiscono ricoprendosi di erbacce e chiazze di degrado, mentre a poco distanza ne sorgono altri: a volte ad accogliere le medesime attività che hanno lasciato i vecchi, a volte senza neppure trovare mai un senso compiuto, oltre certe pensate estetizzanti di qualche architetto o stilista o animatore social-culturale-della ristorazione.

Pensare che in certi casi c'è scritto addirittura sui progetti tecnici, delle infrastrutture autostradali. Frasi del tipo «questo progetto, oltre al ruolo di convogliatore del traffico dell'area regionale e oltre, si intende soprattutto come alimentatore di sviluppo del territorio». Cioè di pompa di nuovo traffico, il quale traffico convoglia risorse, aspettative, denaro, persone, idee, merci e servizi... Che attireranno altro traffico, che richiederà nuove bretelle, tanto lavoro, valore aggiunto, investimenti locali. La cosa stupefacente, davvero surreale, è che i medesimi soggetti che si sentono vittime dell'inquinamento, degli incidenti stradali, degli ingorghi, della devastazione del paesaggio e dell'ambiente, poi siano talmente immersi in questa spirale psicologica da non accorgersi di tutto funzioni invece benissimo, altro che male di vivere! Certo, loro soffrono, e magari chiedersi cosa esattamente li faccia soffrire aiuterebbe. Ma la risposta forse, anzi quasi di sicuro, non piace a nessuno, pare troppo complicata e fantasiosa. L'autostrada alimenta il «cemento che ti chiude anche il naso» come cantava tanti anni fa il giovane Celentano. Dovresti metterti a dieta e adottare un diverso, più sano stile di vita, liberandotelo, il naso.

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