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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Cosa si rivendica arrampicandosi sui tetti di un capannone

Circa una decina di anni fa, su una rivista di sinistra, mentre da ogni parte si celebrava la nascita della lotta per l'occupazione industriale arrampicati su qualche tetto, provavo a dare uno sguardo urbano alla questione. Qualcuno forse si ricorderà i termini essenziali del problema: una zona di storica dismissione industriale come quella della INNSE ex Innocenti a Lambrate, ridotta ormai a un unico capannone ancora attivo, i cui operai per scongiurare la pilotata chiusura della produzione inauguravano quella spettacolare forma di sciopero, dove invece di «scendere» in piazza si «saliva» sopra il carroponte. La lettura generalizzata di quella vicenda, anche da parte dei protagonisti diretti, suonava come difesa del posto di lavoro, ma per quanto mi riguardava preferivo invece guardare a un altro tipo di difesa che si stava mettendo in campo, con quella battaglia dai toni estremi: la difesa della diversità urbana. Perché non si trattava di licenziamenti, ristrutturazione, ma fondamentalmente di ribaltare gli equilibri urbani e il modo di convivenza.

Il meccanismo, quello che a volte impropriamente in tanti casi oggi si chiama «gentrification» (ma assomiglia invece di più agli antichi sventramenti), è quello della dismissione produttiva così come gestito da pubblici poteri troppi fiduciosi nei meccanismi neoliberali, e nella loro declinazione immobiliarista: basta con la nostalgia delle ciminiere e del ruolo della classe operaia nel progresso, inseguiamo invece i cieli azzurri senza inquinamento, la sicurezza per i bambini e il comfort di passeggiare in giardino. Mentre dopo aver visto alcuni risultati di queste promesse, si è capito che in realtà, ad una certa monocoltura industriale davvero desueta, i nostri cantori del mercato tendono a sostituire delle specie di cittadelle fortificate del privilegio e dell'esclusione, in pratica importando in città l'odioso modello suburbano del quartiere esclusivo residenziale per ricchi. Il quale a differenza del singolo edificio o strada urbana egualmente esclusivi, ha la particolarità di escludere totalmente sia le fasce di reddito sgradite, sia ogni attività economica diversa dall'abitare. Il che poi significa in termini di spazio fisico ricostruire i medesimi recinti invalicabili dell'industria, ridurre al minimo lo spazio pubblico, non integrare per nulla i trasporti collettivi, mortificare il verde pur imposto dagli standard urbanistici, relegato ai margini ed escluso dal progetto generale.

In sostanza quegli operai arrampicati sui tetti rivendicavano, forse a loro insaputa, quel cosiddetto «mixed use» considerato da chi ne mastica come base di qualunque idea di abitabilità, sostenibilità, inclusione, complessità sociale ed economica cittadina, e antidoto a quelle forme autoritarie di militarizzazione securitaria tanto di moda tra certi politici sbrigativi. Certo i fumi dell'industria tradizionale, gli infiniti muraglioni che circondano impianti e raccordi ferroviari, l'ambiente grigio piatto inquinato e meccanico tipico dei quartieri a specializzazione produttiva otto-novecenteschi (e ancora riprodotto su scala minore in tante nostre zone oggi classificate artigianal-commerciali suburbane) ha dei difetti, gravi, da superare. Ma è l'idea di tabula rasa, di bonifiche che scavano non solo nei terreni avvelenati, ma anche nelle radici sociali e storiche, ad essere odiosa. Così come lo è, allargando il campo, certa politica amministrativo-contabile pubblica quando, così come per l'industria, vorrebbe azzerare la storia delle zone commerciali centrali, magari anche «mettendo a frutto le proprietà pubbliche». Invece della «gated community» monouso residenziale esclusiva, con la dismissione commerciale pilotata si creano altre sacche di esclusione, magari con la scusa di investire poi i profitti nelle periferie. La città non si può né si deve monetizzare, altrimenti c'è il rischio, grosso e grave, di ammazzarla. Attenzione, amministratori disinvolti che «fanno i conti»: vi manca di sicuro qualche dato.

Su La Città Conquistatrice abbondanza di articoli sulla Gentrification, naturalmente 

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