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Giovedì, 28 Marzo 2024
Città conquistatrice

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A cura di Fabrizio Bottini

Il riscaldamento globale siamo noi?

Ogni tanto qualcuno butta lì a titolo di battuta che al giorno d'oggi "si vota aprendo e chiudendo il portafoglio". Parrebbe una cosa quasi ovvia, e pure intelligente, se non nascondesse la trappola micidiale dell'eccesso di semplificazione da un lato, e della monetizzazione di tutto quanto dall'altro. Perché quell'esprimere consensi attraverso i consumi, altro non è che declinare a modo proprio l'antico adagio che la scorsa generazione definiva con il diversissimo slogan: "Il personale è politico". O magari nella versione un po' indianeggiante, mistica, mal tollerata dai movimenti politici, se vuoi fare una rivoluzione inizia a farla dentro di te. Se oggi si ritiene di usare la spesa (o l'aspirazione ad avere i soldi per quella spesa) come metro di valutazione, benissimo, insomma, ma non confondiamo alcuni sintomi con la malattia, e questa con la fisiologia o addirittura la terapia. 

Il riscaldamento globale, ad esempio, è certamente fatto dalla somma di tanti nostri gesti individuali, che a loro volta spingono ad altre trasformazioni maggiori. 

La causa si calcola in emissioni, il contributo individuale si può anche calcolare in quei soldi spesi a generare emissioni, in certi comportamenti insomma, ma rimane aperta la questione: sono sul serio "scelte personali" fatte liberamente e consapevolmente? 

Un caso eclatante, e indubbiamente determinante nel riscaldamento globale, è l'uso dell'auto. Abitudine certamente personale, certamente una "scelta" (in fondo non c'è alcun Moloch individuabile, a obbligarci, no?), e anche una scelta che si fa piuttosto volentieri. Ma che si inserisce in una rete così intricata di pratiche sociali, da diventare assolutamente condizionante, naturale, insomma tutt'altro rispetto a, poniamo, portare la cravatta oppure no in ufficio. 

E questa confusione, tra una scelta libera e un imponente profondo meccanismo di condizionamento, la fanno addirittura le medesime agenzie pubbliche responsabili delle politiche sociali, urbane, collettive, tali da determinare poi quei comportamenti individuali "viziosi". Viziosi ovviamente perché cambiano il clima, distolgono risorse da altri obiettivi più utili, e via dicendo. Interessante che a districare la matassa ci si siano messi interi laboratori di ricerca interuniversitari di studi sociali, proprio nella prospettiva di spiegare, a questi soggetti che elaborano politiche pubbliche, che non basta, poniamo, decantare l'uso del mezzo pubblico, magari pure investendoci somme considerevoli, se poi non si incide in alcun modo sull'infinità di "pratiche sociali", immaginario, cultura e culture, consumi, che risucchiano come in un gorgo implacabile verso la civiltà automobilistica.

Uno degli studi sistematici a cui faccio riferimento, è quello inter-universitario britannico, di Elizabeth Shove, Matt Watson, Nicola Spurling, "Conceptualizing connections: Energy demand, infrastructures and social practices" (European Journal of Social Theory, Vol. 18, n. 3, 2015), dove indagando quello che pare un vero processo di collettiva "tossicodipendenza dall'automobile", si prova a comprendere proprio la struttura dei condizionamenti che la determinano. Ed entrano in campo, tutti legati a doppio e triplo filo incrociato, tempi e modi del lavoro e dello speculare tempo libero, i consumi in quantità, qualità, diluizione o concentrazione nel tempo, le reti di relazioni economiche, familiari, affettive e non, coi loro portati sia materiali che di aspettativa. 

La "auto-dipendenza" ne emerge come un enorme fiume infrastrutturale, paradossalmente promosso proprio dalla stratificazione di grandi scelte pubbliche e private, dentro cui confluisce questa miriade di comportamenti individuali, certo libere scelte, ma quanto condizionate! E personalmente, così a caso, penso a quanto sesso e delitto ruotino proprio attorno all'automobile, dall'abitacolo usato da milioni, forse miliardi, di persone come pied-à-terre per incontri intimi, alla proibizione all'uso del veicolo familiare che sfocia in tanti casi di stragi, o a quelle vittime goffamente trasportate nel bagagliaio (il criminale automobilista è un mestiere da esperti, che si crede, Pulp Fiction insegna) fino a qualche discarica dei dintorni … Solo, per ribadire che non è certo magnificando le gioie della bicicletta e delle domeniche in carrozzella, che combatteremo il cambiamento climatico. Quello mi pare sicuro.

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