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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Integralismo e privatizzazione dello spazio pubblico

In questi giorni ha suscitato grandi discussioni l'acquisizione del 100% della proprietà del quartiere di Porta Nuova a Milano, da parte della finanziaria legata alla famiglia reale del Qatar. Si tratta a ben vedere di una non-notizia, visto che non solo proprio in quel vasto complesso immobiliare di prestigio la proprietà era già del 40% del medesimo ente, ma che in Italia e nel mondo gli investimenti immobiliari (spicca per esempio quello negli insediamenti turistici sardi) dei proventi del petrolio sono da tempo uno dei pilastri portanti di tante notissime trasformazioni urbane centrali. Tanti commenti di cittadini comuni per il caso Porta Nuova erano improntati all'ormai classico sospetto complottardo, e non vale neppure la pena citarli, salvo sorridere all'idea surreale di orde di guerriglieri integralisti nascosti chissà come, completi di scimitarre e cammelli, dentro immateriali flussi finanziari. Spicca invece la dichiarazione di un'archistar che in una intervista prima sostiene che certo la questione dei finanziamenti immobiliari pone problemi di “equilibrio geopolitico”, ma alla fine conclude col classico: che ci possiamo fare noi, e di sicuro pecunia non olet.

Potremmo anche prendere per buona questa tesi bifronte (confermata nella sostanza da tantissimi altri commenti) ma provare a svilupparla un pochino. Nessuno dei commentatori sicuramente può negare che i capitali di qualcosa odorino, e si tratta dell'interesse a circolare e servire i propri interessi particolari. Che non sono necessariamente quelli di altre diramazioni, per carità, ma vanno invece letti nella prospettiva indicata qualche anno fa da una studiosa britannica, Anna Minton, quando nel fortunato titolo scelto dalla Penguin per pubblicare alcune sue riflessioni sulle trasformazioni urbane in corso, parlava di “Ground Control”. Termine militare, che però apparirebbe pura specifica tecnica nelle operazioni edilizie e urbanistiche, ma al tempo stesso non smette di inquietare, specie se ne osserviamo lo svolgersi nella città contemporanea. Arrivano gli agognati soldi per le riqualificazioni di quartieri lasciati allo sbando per decenni, tutto inizia a splendere, ma qualcosa che non va salta subito fuori: lì dentro vigono ancora le regole della civile convivenza, o sono state soppiantate da qualcos'altro?

I casi più evidenti sono quelli delle grandi trasformazioni gestite dagli operatori imobiliar-commerciali, che non hanno alcuna intenzione di uscire dalla logica consolidata dello shopping mall, anche quando non ha affatto la forma di uno scatolone. Si rimodella una parte di città mantenendone inalterato il tessuto delle vie, o comunque i caratteri urbani aperti con nuove accattivanti architetture, tecnicamente funzionali e accoglienti, ma la gestione, il “governo” di quei posti, è sottilmente cambiato. Finisce per assomigliare troppo, molto in grande, a certe gallerie o portici privati, che in quanto tali ad esempio vengono chiusi al pubblico nelle ore notturne o nei giorni di festa. Ma poi si aggiungono anche i pattugliamenti di persone in divisa che non sono affatto polizia o vigili urbani (ovvero rappresentanti di un corpo democraticamente eletto): solo incaricati che rispondono alla proprietà. Sino al caso limite di “scoraggiare alcuni frequentatori sgraditi”, ovvero chi a insindacabile giudizio della direzione economica non è adatto a quel luogo. Questo vuol dire, il “Ground Control” del capitale privato nelle trasformazioni urbane, non certo i guerriglieri con scimitarre e cammelli nascosti sotto i tombini dei grattacieli di Porta Nuova a Milano. E allora poniamoci di nuovo la domanda: pecunia olet, oppure no? Questo è il problema, con gli integralisti del libero mercato applicato a ogni aspetto dell'esistenza.

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