rotate-mobile
Giovedì, 28 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

L'accordo Fiat-Peugeot e i contadinisti delle aree interne

Bisogna arrivare in un angolo delle pagine economiche dei quotidiani per leggere nero su bianco che ci sarà inevitabilmente «una riduzione di almeno il 50% della forza lavoro nel settore auto». E si badi bene che non si parla di un dato impianto o territorio, locale o nazionale, e neppure di un marchio, come di solito vengono inquadrati questi pur giganteschi processi di ristrutturazione. In questo caso il 50% delle famiglie che dipendono da uno stipendio lasciate virtualmente sul lastrico si intende globale, e anzi localmente può significare magari anche 100%, riducibile a un 95% se si fa la lotta armata. La precisazione – implicita, bisogna in realtà cercarne le tracce in altri articoli - è che il calcolato massacro dei posti di lavoro riguarda la produzione di veicoli, comparto che dovrà necessariamente ridurre il proprio peso nelle attività di «case automobilistiche» sempre meno tali, e sempre più imprese erogatrici di servizi integrati. C'è voluta la sigla dell'accordo tra FCA e PSA, con la definizione di un gigante globale (magari destinato nel futuro prossimo a ingigantirsi finanziariamente ancora di più) per portare un pochino alla superficie della stampa non specializzata affermazioni del genere, ovvero le conseguenze di elettrificazione e automazione. Fiat marchierà una app di condivisione di servizi a pagamento, magari erogati in collaborazione con un Ente pubblico, dentro cui quell'antico veicolo a quattro ruote con motore prodotto negli omonimi stabilimenti entra certo, ma solo di straforo.

Compro Fiat cliccando sull'icona prima di prelevare il monopattino per arrivare al supermercato, dove lo parcheggerò sul lato dell'edificio con le piazzole, allontanandomi poi con i due sacchi della spesa in auto condivisa, fino alla casa dove mi aspettano per preparare il pranzo dei parenti. Poi il veicolo se ne va per conto proprio dal portoncino, sistemandosi da qualche parte o raccattando un altro utente che sta anche lui comprando Fiat. Magari potrei anche comprarmelo, quel veicolo, vantarmene come status symbol, ma ne vale la pena? Con tutti i soldi che costa una macchina, assicurazione, manutenzione, ricariche di energia sostenibile, per non parlare della sosta a pagamento, del possesso obbligatorio di un carissimo box vicino o sotto casa … Insomma il futuro anche prossimo fa immaginare scenari che nulla hanno da spartire col Fantozzi autodipendente dalla sua Bianchina. Scenari che però piano piano, ma anche non troppo piano piano, spostano lo sfondo e il contesto di tutto quanto verso ambienti densi di interazioni, dove ha senso concentrare gli investimenti dei nuovi giganti automobilistici, che lasciano ancora più ai margini (almeno in questo senso) le aree rurali e suburbane a insediamento disperso: poca gente, poco mercato, poco interesse a qualunque innovazione. Mentre ciò che innovato o rinnovabile non è, per esempio il veicolo in proprietà a propulsione tradizionale e guida umana, già diventato più costoso per il taglio della produzione, può essere scoraggiato dalle norme sull'inquinamento, sull'occupazione di suolo, sulla inaccessibilità di certe zone sensibili.

Che succede alla cosiddetta «cultura dei borghi» così come la si favoleggia oggi? Succede che questi scenari possono metterla parecchio in discussione, dato che dipende da una infinita catena di fattori automobilistici, ponendo sostanzialmente due alternative che non sono neppure tali. La prima è che questo misterioso nuovo sviluppo delle aree interne avvenga davvero secondo quei criteri «nostalgici» di cui si favoleggia, e che fanno sorridere molti ma entusiasmare certo ambientalismo altrettanto nostalgico: ritorno della cultura contadina, risparmio fino all'osso di energia e consumi non di sussistenza, in sostanza quella vita che i denigratori chiamano «coi carretti e a lume di candela» vagamente Amish. Mentre il resto del mondo va altrove naturalmente, cercando la sostenibilità ambientale nell'innovazione (anche quella traumatica dello sconvolgimento del mercato del lavoro accennata all'inizio). La seconda opzione, assai più probabile e in fondo auspicabile un po' da tutti salvo certi sognatori lievemente ottusi, è che non si torni ad alcunché, costruendosi invece un autenticamente postmoderno e post-automobilistico modello di sviluppo sociale, economico locale, ambientale, nel segno di quanto è stato chiamato con forse infelice neologismo immobiliarista «Hipsturbia», o sobborgo di tendenza delle nuove generazioni se vogliamo tradurre correttamente (Cfr. Urban Land Institute e PwC, Emerging Trends in Real Estate, 2019). Che certo rifiutando il modello standard della grande città di discendenza industriale, in sostanza auspica una «ri-urbanizzazione» di ciò che oggi urbano non è o non è più o non è ancora. Tanti saluti alle utopie contadine e ai loro incauti profeti di sventura altrui insomma.

La Città Conquistatrice – Paesologia 

In questo stesso blog di Today vedi Robert Madddalena, Dagli Appennini allo Sbando 

Si parla di

L'accordo Fiat-Peugeot e i contadinisti delle aree interne

Today è in caricamento