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Giovedì, 28 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

La città, il mercato, l'ambiente, il governo

Qualche giorno fa l'amico Mario De Gaspari, studioso di questioni economiche e non solo, mi ha gentilmente anticipato un capitolo di un suo più ampio saggio in corso di pubblicazione, dedicato al dibattito italiano sulla "Nota Aggiuntiva alla Relazione generale sulla situazione economica del Paese per il 1961", presentata dal ministro Ugo La Malfa alla Camera dei deputati il 22 maggio 1962. L'interesse di quel documento va ovviamente oltre il contesto specifico in cui si colloca, e anche oltre quella indefinita "situazione economica" generale, toccando e condizionando una quantità di avvenimenti successivi, primo fra tutti il dibattito sulla riforma urbanistica studiata dall'allora ministro dei lavori pubblici Fiorentino Sullo, che adottando proprio le prospettive di ri-orientamento dell'economia nazionale ipotizzate da La Malfa, coniugava da un lato gli obiettivi di razionale sviluppo delle città, dall'altro quelli di spostare investimenti dalla pura speculazione immobiliare improduttiva, ad altri più "moderni" ambiti industriali e di ricerca. La storia ci racconta come finì la corsa, del ministro Sullo, schiantato politicamente contro la maggioranza del suo partito, nel caso molto ben rappresentato da Aldo Moro, non a caso espressione di un'area dove anche la Riforma Agraria e la lotta al latifondo, ovvero alle forme più arcaiche di rendita, avevano faticato e faticavano parecchio per strappare la società dalle pastoie dell'arretratezza.

In altre parole, il "mercato", dell'epoca e non solo, ovvero l'insieme della domanda economica e sociale, voleva continuare a svilupparsi come aveva sempre fatto, considerando intoccabile il diritto alla proprietà, a farci quel che si vuole, e confonderlo ideologicamente con il "diritto alla casa" (che è ovviamente ben altro). Qualcosa di analogo, pur in un contesto assai diverso, si sta sviluppando di questi tempi al di là dell'oceano, negli Stati Uniti dove la proprietà è un feticcio sacro e intoccabile, e si parla di "mercato" addirittura in situazioni che a noi paiono al limite della bestemmia e dell'eresia, come in tema di diritti umani, di ambiente, di salute eccetera. Oggi, se vogliamo ricontestualizzare, la questione si pone diversamente nei termini della "sostenibilità", ambientale, sociale, economica, dello sviluppo urbano, anziché della pura efficienza come ai tempi della Nota di la Malfa e del progetto di legge urbanistica Sullo. Negli Usa il "diritto alla casa" è da sempre legato al concetto di abitazione economica in proprietà, e alla presunta domanda e preferenza di case unifamiliari in ambiente suburbano. Il ragionamento fila più o meno in questo modo: per far costare meno gli alloggi, bisogna costruirli dove i terreni sono più economici, ovvero bisogna far espandere le città in orizzontale anziché in verticale. Ma, come sanno ormai tutti, questo ha storicamente prodotto lo sprawl suburbano, principale macchina di spreco energetico, consumo di suolo agricolo e naturale, degrado sociale e oggi anche luogo di emarginazione. Secondo molti però non se ne esce, non si può uscire, perché tutte le città che hanno "densificato" anziché espandersi nella loro regione, hanno visto processi di aumento verticale dei prezzi, espulsione dei ceti più poveri, ovvero la cosiddetta gentrification (che indirettamente produce sprawl: da qualche parte dovranno pure andare, gli abitanti espulsi).

Insomma anche qui, idee apparentemente impeccabili di fronte alla realtà crollano miseramente, salvo che qualcuno sostiene non debba per forza andare così: basterebbe solo regolamentare diversamente l'uso del territorio, a partire da un dato di puro buon senso. Quello che dice che il prezzo di una superficie deve tener conto di fattori diversi da quelli di un "mercato" quasi obbligatoriamente distorto da interessi particolari. Il fatto è che che gli emuli del nostro Aldo Moro abbondano anche in entrambi gli schieramenti politici americani, ben attenti a non pestare i piedi di proprietari fondiari, costruttori, e in generale di quel vero e proprio "complesso militar-industriale" che sulla Nuova Frontiera Mobile dell'espansione urbana continua campa e teorizza sin dai tempi di Henry Ford, sventolando il sogno individualista della Broadacre del feticcio architettonico nazionale, Frank Lloyd Wright. Un po' come certi progettisti italiani quando davanti alle fotografie della famosa Casa Malaparte, sulle scogliere di Capri, urlano "basta con le regole urbanistiche e paesaggistiche, noi artisti siamo capacissimi di regolarci da soli".

Oltre oceano, sul tema espansione contro densificazione e necessaria riforma urbanistica, si è sviluppato negli ultimi tempi un dibattito sulla prestigiosa rivista Bloomberg. Che, riassumendo forse oltre il dovuto, si conclude (per ora) con l'esortazione dell'editorialista Justin Fox: non dobbiamo soccombere alla dispersione urbana seguendo in questo modo il mercato speculativo! Citando alla lettera il suo articolo (in via eccezionale linkato qui invece del solito rinvio al mio sito): "Forse potrebbe apparire poco realistico, oggi, parlare di una nuova legge urbanistica nazionale, che consenta alle città di densificarsi [anziché espandersi] contenendo al tempo stesso i prezzi delle abitazioni. Ma se ci pensiamo un istante, solo otto anni fa pareva fuori dalla realtà anche l'assistenza sanitaria obbligatoria. Sappiamo che la Casa Bianca è favorevole a questa riforma urbanistica. E nella società crescono movimenti di sostegno alla densificazione, come YIMBY (yes in my back yard)". Staremo a vedere, anche noi, dalle retrovie dell'impero, magari con un occhio di riguardo anche a casa nostra, visto che l'unica legge urbanistica nazionale italiana è ancora quella fortemente voluta dal camerata ingegnere Giuseppe Gorla, ministro di Mussolini, nel 1942.
 

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