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Giovedì, 18 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

La città non è un circuito elettrico

Nel 1933 il disegnatore di impianti elettrici dipendente della metropolitana londinese, Harry Beck, realizza la mappa diagrammatica (basata sugli schemi di circuiti elettrici) che ne diventerà uno dei più noti simboli, famoso in tutto il mondo e largamente imitato da moltissime aziende di trasporto fino ai nostri giorni. 

Inizialmente, l’Azienda è piuttosto riluttante ad accettare quello che nei fatti è l’esatto opposto sia delle rappresentazioni bucoliche e delle varie campagne promozionali lanciate sino ad allora, sia delle pur stilizzate mappe-guida realizzate su supporto geografico tradizionale. Ma il pubblico sembra invece cogliere rapidamente la corrispondenza fra l’idea di fatto a-spaziale fuori scala dello schema di Beck, e la non-percezione di distanze e proporzioni tipica del viaggio in metropolitana che sperimenta quotidianamente. La stessa cosa che, più o meno, avverrà poi in altre città, contesti culturali, modalità di trasporto.

Questo focalizzare la ferrovia sotterranea su sé stessa in modo totalmente avulso dal contesto in cui si colloca, ha però una duplice valenza: se da un lato ha una evidente utilità pratica perché familiarizza l'utente con gli spazi dedicati della mobilità sotterranea, evitando un prevedibile effetto labirinto dentro quell'intrico tutto quasi identico e senza riferimenti geografici classici, dall'altro separa percettivamente in modo molto netto il flusso delle persone dallo spazio urbano che attraversano. In pratica, muoversi nella metropoli diventa molto molto simile a quella simulazione di viaggio iperspaziale che vediamo in tanti film di fantascienza (indimenticabili quelle specie di docce di scintille luminose di Star Trek), in cui i personaggi senza soluzione di continuità passano da un contesto a un altro, diversissimo e per sua natura «alieno». 

Proprio qui sta il punto, nello spazio alieno quanto artificialmente alienato, perché se non altro il luogo specifico in cui si sbuca dal sottosuolo avremo modo in qualche modo di conoscerlo, ma il resto dell'universo ci apparirà comunque nella forma di quei pallini su striscia colorata della mappa-circuito elettrico di Harry Beck e designers grafici successivi.

Del resto basterebbe chiedere abbastanza a caso ai frequentatori delle città via metropolitana, cosa ne pensano di questo o quel quartiere pur «attraversato» una infinità di volte, per scoprire non solo che passandoci sotto ne hanno quell'idea assurda da nodo grafico, ma che quando (e se) lo attraversano fisicamente a livello stradale, a piedi in auto in bicicletta, non collegano affatto in sinergia le due percezioni: se non fosse per l'uso dei toponimi, leggibili anche sulle targhe stradali o su qualche insegna commerciale del posto, la sovrapposizione spesso non avverrebbe neppure parzialmente. Ed è abbastanza grave, questo, dato che rappresenta una delle tante forme di astrazione dalla realtà urbana dentro a cui siamo comunque immersi, e con cui dovremmo per quanto agevolmente confrontarci di continuo: ignorarla così vuol dire rischiare di subirne alcuni contraccolpi sgradevoli.

Chi prova questo disorientamento, altro non fa che riprodurre in altri modi la medesima percezione deviata di chi spostandosi sempre in auto non «vede» una quantità di cose, e si comporta in termini inutilmente aggressivi rispetto al contesto cittadino e agli altri abitanti.

Oppure, a chi tanto abituato a guardare la realtà dalla «finestra elettronica» dello schermo televisivo o del computer, si inventa ambienti stradali spaventosi invasi da aggressori di ogni tipo, o degradati oltre ogni dove, mentre invece basterebbe farsi una passeggiata con gli occhi ben aperti, e verificare che in realtà le cose non stanno così. 

Forse si deve a considerazioni analoghe, la lodevole iniziativa dell'agenzia trasporti londinese, che ha iniziato una specie di «pentimento» rispetto alle mappe anni' 30 dell'elettricista Beck, semplicemente annotando i tempi di spostamento a piedi tra una fermata e l'altra. Magari confrontare quanto impiega il treno per andare da un QUI a un LÌ con quanto ci impiegheremmo camminando, può incuriosire anche sulla natura dei luoghi attraversati, indurre a considerarli nella loro realtà e complessità, oltre il pallino colorato. Un piccolo passo, moltiplicato per tante persone.

Transport for London, «Walk the Tube»

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