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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

La metropoli tecno-umana che ci aspetta (dove?)

L'assetto definitivo della grande area «urbanizzata temporaneamente» per l'effimero evento Expo 2015, esordisce in modo comico con la sparata malauguratamente scritta da qualche addetto stampa, letta dal mega-manager di turno alla presentazione del piano, e che surreale suona «Sarà il parco più lungo d'Europa». Poteva tranquillamente dire anche abbiamo ingaggiato gli scienziati più grassi del mondo, oppure costruiremo edifici a emissioni zero di sudore, e l'effetto sarebbe stato identico: la gran voglia di eccellere ad ogni costo, di battere qualche record, ma una certa confusione di fondo sugli obiettivi, che non ispira poi tanta tutta quella fiducia nel futuro che si vorrebbe invece comunicare. Perché forse, mediaticamente o meno parlando, sarebbe stato assai meglio lasciare più spazio alle attività di punta che in quegli spazi si svolgeranno, anziché inventarsi il parco più lungo d'Europa o altre sciocchezze simili. Ma evidentemente l'ansia di superare almeno in parte le infinite e assai giustificate polemiche sull'acquisizione e gestione di quelle aree, ha fatto diventare tutti più realisti del Real Estate.

Ivi compreso l'incaricato di progettare su grande scala il sistema a parco, ovvero di andare ben oltre la classica operazione di «landscape» che in genere ricuce a livello del suolo questi grandi progetti di trasformazione piuttosto autoreferenziali, per coinvolgere una rete più vasta e sistemica. Il quale paesaggista dichiara con lapsus freudiano di mirare a «un parco a tema metropolitano». Cosa intenda in realtà è tutto da scoprire o capire: pensa a una specie di Disneyland della ricerca e dell'urbanistica sostenibile ma di mercato, oppure al «parco come tema unificante» là dove la pura trasformazione edilizia e infrastrutturale non ce la fa proprio, a ragionare alla dimensione e con le qualità necessarie? Se non altro, almeno su questo versante dei parchi e auspicabili reti ecologiche si legge per una volta chiara ed esplicita, quella dimensione metropolitana che esce dal puro perimetro immobiliare dell'investimento a scala di quartiere, o dal cosiddetto ambito di trasformazione unitario magari definito da linee infrastrutturali ferroviarie o autostradali, per considerare l'insieme dell'insediamento, a cui in realtà queste trasformazioni dovrebbero sempre riferirsi, visto che si propongono come una specie di modello della città ideale.

La Città della Scienza come si propone lo Human Technopole, che secondo quegli orizzonti futuribili delineati dai migliori pensatori urbani degli ultimi decenni farebbe da incubatore per l'insediamento umano nel suo insieme, incorporando le economie della conoscenza e i principi della sostenibilità, da estendere poi per osmosi al proprio esterno. Ma che già dovrebbe partire da un'idea forse meno chiusa e introversa dei criteri sovrapposti immobiliare + ricerca avanzata. Una contraddizione istintivamente colta (visto che stiamo provando a ragionare a scala metropolitana appunto) ad alcuni chilometri di distanza, dove un posto così già esisterebbe, ma lo si vuole dismettere e smantellare per trasferire le attività nella nuova cittadella ideale. Il riferimento è a Città Studi, sede universitaria storica dal primo '900 della sua progettazione, nonché ai gruppi di cittadini contrari al processo di dismissione e trasformazione così come delineatosi finora. Lo slogan suonerebbe puramente nimby o conservazionista, nelle sue intenzioni di «salvare il quartiere» dalle trasformazioni funzionali e urbanistiche in corso, se non fosse sostenuto appunto dalla medesima intuizione: non ci sono troppi contenuti immobiliari, finanziari, speculativi, dietro a questi progetti di città ideali della scienza? In altre parole, non si ripete, pressoché uguale, il meccanismo già visto con la dismissione industriale, in cui con la scusa di innovare la produzione in realtà si spostano le risorse sulla rendita, in un gioco di svuotamento-riempimento micidiale per le città? E, domanda stavolta retorica: cosa può fare la pubblica amministrazione per evitare che questi eccessi del «libero mercato» finiscano per squilibrare inutilmente e perniciosamente la convivenza?

Su La Città Conquistatrice qualche considerazione più ampia sul rapporto innovazione e città nelle pratiche contemporanee delle economie della conoscenza 

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