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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

La ridistribuzione dei posti di lavoro

Durante il periodo fascista, le riviste di teoria politica, economia e pianificazione del territorio pubblicavano spesso contributi scientifici intitolati più o meno «Distribuire il Lavoro per Distribuire la Popolazione». Con una interpretazione al tempo stesso corretta ma molto parziale, queste riflessioni furono poi, in epoca democratica e repubblicana, bollate come funzionali alle strategie antioperaie del regime, contrarie a favorire concentrazioni di lavoratori e conseguente conflittualità. 

Ma non dobbiamo scordarci che quei medesimi obiettivi di ridistribuzione territoriale di residenza e attività economiche, nel medesimo periodo e anche successivamente, venivano perseguiti anche da regimi e culture politiche per nulla totalitari, dalla suburbanizzazione mercatista e consumista nordamericana al decentramento pianificato socialisteggiante del movimento per le città giardino, sino a certe ipotesi comunitarie olivettiane in Italia. Sta di fatto, che in un modo o nell'altro quella «distribuzione del lavoro» risulta sempre il fattore chiave di qualunque politica territoriale di non breve respiro. Anche oggi, nel pieno dibattito sulle nuove idee di città, di attività economiche, di forme del lavoro (e del pendolarismo per lavoro) e composizione delle funzioni urbane.

Sulle pagine di The Atlantic Citylab coordinate da Richard Florida, l'innovazione organizzativa delle imprese in ambiente metropolitano riceve sempre un trattamento di riguardo, visto il suo ruolo chiave nel fare e disfare equilibri, locali e meno locali. Si è così guadagnato una certa visibilità un articolo che racconta documentatamente la «Migrazione del co-working verso il suburbio», migrazione quanto mai significativa all'interno dell'ormai annoso dibattito sulle tendenze indotte dagli stili di vita e aspettative delle nuove generazioni: se sono così urbano-centrali come si dice, perché mai uno dei loro capisaldi simbolici, lo spazio del lavoro condiviso, si sta spostando fuori dai centri?

Una risposta spontanea la si potrebbe trovare nell'adagio caro agli immobiliaristi più tradizionali, secondo cui quando la natura chiama, ovvero quando scatta nel giovane l'istinto a riprodursi e farsi una famiglia, scatta automaticamente la voglia di casetta-nido. E siccome i servizi seguono il cliente, anche gli spazi di co-working così amati dalla nuova generazione di classe creativa fanno un loro decentramento industriale. 

L'articolo su Citylab puntualizza però soprattutto un altro aspetto, del tutto trascurato sinora sia dalle politiche che da buona parte degli studi: come racconta un'imprenditrice del settore, gli ambienti di lavoro condivisi ospitano in media per circa la metà dei «dipendenti di grande impresa operanti a distanza, non dei liberi professionisti o autoimprenditori, come riteniamo di solito». Ovvero, di nuovo, guardare al pur interessantissimo dito rappresentato dagli innovativi stili di vita dei Millennials, ci ha fatto dimenticare la luna, cioè le imprese, che in realtà continuano per così dire a tenere il coltello per il manico. Sia decidendo o meno di spostare le proprie sedi dentro e fuori dai nuclei metropolitani centrali, sia riorganizzandosi per una diversa articolazione delle unità locali, anche in forma di nuclei di lavoro a distanza. 

Dove e come si collocheranno, questi nuclei di lavoro a distanza? Nel modo classico, ovvero nella posizione più razionale sia rispetto ai dipendenti che rispetto al mercato di sbocco. Per questo, insomma, ci sono quegli spazi che spuntano nelle zone suburbane, vuoi nei nuovi «transit-oriented-development» serviti da un nodo di trasporto pubblico, vuoi nelle più classiche collocazioni nei pressi di uno svincolo stradale. E che ne è dell'ambientino informale, centralissimo, in un capannone recuperato trendy, dove i protagonisti dell'innovazione sociale ed economica in jeans ci fanno sognare futuri alternativi? Niente paura, ha anche quello un suo variabile spazio di mercato, non era affatto una svista. Solo, iniziare a immaginare ribaltamenti davvero radicali delle logiche territoriali del lavoro, a fronte di pur grandi innovazioni come l'operare a distanza, o le tendenze al ricentraggio, è parecchio azzardato. Occorre conoscere davvero ciò che si sta muovendo, e continuare a studiare da vari punti di vista le città.

Su La Città Conquistatrice, qualche spunto in più e collegamenti internazionali, sul tema del Telelavoro 

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