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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

La storia della città? Ansia della mezz'oretta

Un articolo su City Lab ci ricorda che negli anni '90 il fisico italiano Cesare Marchetti, all'insaputa della soverchiante maggioranza dell'umanità, passò alla storia dando il suo nome nientepopodimeno che a una Costante. Una specie di legge universale secondo cui (cito alla lettera dalla voce di Wikipedia): «Nonostante le evoluzioni della forma urbana e dei mezzi di trasporto, indifferentemente dal risiedere in piccoli o grandi centri, le persone modulano tendenzialmente la propria esistenza (nel rapporto casa lavoro) così da spostarsi ogni giorno circa mezz'ora all'andata e mezz'ora al ritorno, anche se naturalmente dal neolitico ai nostri giorni la distanza coperta varia a seconda del mezzo di trasporto». Come quasi sempre succede con queste trasposizioni da comportamenti umani a leggi fisiche pur documentatissime e indiscutibili, pare ovvio che il principio sia stato elaborato e messo a punto principalmente per costituire strumento di lavoro, e non certo zoccolo duro di elucubrazioni assai poco teoriche, come invece pare succedere. Erano già circolate per esempio analoghe «giustificazioni dello sprawl suburbano» sulla base dell'ancestrale rilevata tendenza umana a dominare il territorio circostante da bravo onnivoro della savana, facendo evolvere la propria postazione dal tipico masso o albero isolato alla villetta unifamiliare. E forse anche con questa applicazione della Costante di Marchetti alla storia urbana si prova ad applicare il non-metodo per produrre una non-riflessione sullo sviluppo della città, come se si trattasse di un cambio da bicicletta con due varianti anteriore e posteriore: l'uomo con questo suo istinto della mezz'oretta da pendolare, e l'intera storia urbana occidentale con particolare riferimento a quella americana e ancora più particolare a quella che interessa lo scrivente.

A partire dalla premessa: «Il valore della terra è determinato dalla sua accessibilità, ovvero dalla velocità con cui si raggiunge». Cioè, prima la costante elaborata da un fisico ridotta al riassunto dell'osso, e poi questa allegra cancellazione dell'intera storia economico-geografica e quant'altro dell'insediamento agricolo-urbano umano sul territorio, sostituita dal famoso slogan degli agenti immobiliari (perché il mitico mercato della domanda e offerta perfetta specie sugli opuscoli ci dice sempre la verità): Drive Till You Qualify, ovvero tradotto in neolitico scarpina con la clava in spalla finché non trovi la caverna più simile a una villetta per arrivare in ufficio da cacciatore/raccoglitore in mezz'ora. Ecco, già qui si capisce lo stile, il fondamento del ragionamento. La rendita? Il mercato dei terreni? L'uso strumentale di una miriade di strumenti per distorcere la ricerca individuale delle condizioni di vita migliori? Dalle mura raffigurate nei quadri antichi con le scritte Hic Sunt Leones a indicare la selva oscura oltre i bastioni, all'idea secondo cui se non usi un mezzo meccanico per spostarti non sei un vero uomo, non troverai mai una ragazza o non ti rispetteranno, pare che tutto esista solo sullo sfondo. A piedi, a cavallo, in portantina, durante le pestilenze o gli ingorghi delle otto e un quarto sulla superstrada, l'insediamento umano cresce come un grande cuore pulsando al ritmo di quella mezz'ora soggettiva. Nascono le cattedrali gotiche, la agente fa le rapine per comprarsi il macchinone e fare il Dritto di Chicago, tutto spinto dalla mezz'oretta fisiologica. Anche la dispersione dal secondo dopoguerra, coscientemente pianificata per spingere a consumi individuali e familiari impensabili prima, non è affatto spinta dall'immaginario antiurbano del primo '900, sfruttato da poteri pubblici e privati per il proprio modello di sviluppo, macché. Tutti semplicemente, stavolta seduti sull'auto di massa, a schiacciare la tavoletta per la mezz'ora canonica, e a plasmare il pianeta.

Anche un famigerato progetto di anticittà autostradale come la Broadacre dispersa di Frank Lloyd pare ricadere magnificamente dentro questo surreale criterio e motivazione. Innanzitutto mettendo in bocca all'architetto delle praterie «la convinzione che la mobilità individuale offerta dall'automobile rendeva la città obsoleta, proponendo di disperdere la popolazione». In realtà quelle parole, pressoché alla lettera, vengono dall'autobiografia di Henry Ford, a suo modo “urbanista” parecchio influente manovrando mercati vari. Ma la narrazione va avanti implacabile col medesimo tono, prendendo qualcosa da qui, qualcosa da là, e soprattutto dando l'idea di fare una riflessione storica, organica, comprensiva, liscia come un lago tranquillo: gli enormi conflitti tra interessi, le differenze gigantesche, spudoratamente rilevabili solo a dare un'occhiata meno casuale, puff! Spariti d'incanto perché tutta la domanda di mercato è quell'ansia della mezz'ora da pendolari, e l'offerta di architetti, industriali, proprietà della terra e resto del mondo, si adegua. Fino a una conclusione che guarda ovviamente al futuro, e ci dice: cosa succederà? Questo non possiamo saperlo ovviamente, ma cose straordinarie, stay tuned! La lunghezza d'onda è pur sempre la costante di Marchetti, e ora una pausa pubblicitaria.

Riferimenti: Jonathan English, The Commuting Principle That Shaped Urban History, City Lab

La Città Conquistatrice – Wilmaaa, dammi lo sprawl! 
 

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