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Giovedì, 28 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Lo spazio-tempo della politica urbana

A Milano un gruppo di cittadini ha effettuato una di quelle tante e diffuse operazioni di «guerrilla bike» in cui in pochissimo tempo si tracciano vere e proprie piste ciclabili, pur nella forma leggera delle strisce di separazione e altra segnaletica orizzontale, in tutto simili a tante altre salvo nell'essere «illegali». Decisamente surreale il commento della stampa locale, che rassicurava a modo suo la cittadinanza spiegando: la pista «Sarà cancellata per garantire la sicurezza delle bici che altrimenti circolano contromano».

Ma omettendo invece di chiarire come e quanto quella sicurezza venisse invece più o meno delegata alla raccomandazione di non passare da lì, di restarsene a casa, di prendere l'auto, cose del genere. Perché come ben sanno i ciclisti che da sempre viaggiano (per giunta contromano e in discesa) da quelle parti, dopo essere arrivati con regolare pista ciclabile sin sul versante opposto dell'unico ponte sulla ferrovia in parecchie centinaia di metri, non si può in teoria scendere, perché la pista si interrompe lì. Che fare?

Secondo un comportamento responsabile e coerente alle scelte viabilistiche comunali, il ciclista a quel punto può: 1) tornarsene a casa, pago dall'aver constatato che no, non si può proseguire; 2) caricarsi la bicicletta in spalla e scendere dalle scale per i pedoni, sul marciapiede sottostante di nuovo pensato per i pedoni e magari suscitando le solite proteste «voi in bicicletta andate dappertutto, siete un pericolo»; oppure infine 3) rischiare l'incolumità, trasgredire le regole, e imboccare contromano la rampa destinata alle auto, per una ventina di metri, sbucando poi in una via pure contromano, ma dove almeno c'è un pochino di spazio in più sui lati. Ed è ciò che fanno, da molti anni, quasi tutti gli utenti abituali.

Ma quell'operazione di «guerrilla bike», così come le tante analoghe in tanti campi dell'abitare urbano, più che alla soluzione di un piccolo problema mira all'evidenziazione di un altro, assai più grande: lo sfasamento incredibile tra oggettiva realtà quotidiana, e tempi e strategie della politica nelle trasformazioni e adeguamenti. Sia i comportamenti che il gesto trasgressivo, qui in sostanza stanno a dire: esiste un problema di sicurezza di una certa urgenza, che andrebbe risolto in un modo o nell'altro, ma a quanto pare la macchina decisionale pubblica pensa ad altro. Non che questo altro non sia cosa dovuta, importante, magari assai gradita alla maggioranza dei cittadini, ma semplicemente si tratta dell'attuazione di un progetto, non della soluzione di un problema. Il ponte sulla ferrovia infatti dovrebbe essere completamente riorganizzato, ma come spesso accade i tempi di allungano: oggettivamente, il meglio è nemico del bene. In fondo per consentire ai ciclisti di passare da lì basterebbe poco, o una pista ufficiale leggera realizzata al posto di quella ufficiosa, o una corsia provvisoria, sfruttando per esempio i giardinetti lì accanto. Ma a quanto pare no: per la nostra «sicurezza» dobbiamo o rischiare la pelle, o stare in casa, fiduciosi nella lungimiranza della politica e delle sue strategie. Per forza poi qualcuno si stufa, no?

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