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Venerdì, 19 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Salvatori della patria

I grandi NO alle trasformazioni e la diffidenza estrema a qualunque innovazione non nascono (è quasi ovvio, ma vale sempre la pena ribadirlo) da una versione masochista della saggezza contadina, attaccata come una cozza alla sicurezza delle proprie sventure e decisa a non sperimentarne altre. Derivano anche dall'esperienza propria e altrui, di come accogliere all'interno di una comunità innovazioni elaborate di solito «chiavi in mano» altrove, si sia rivelato alla fine distruttivo. Ricordo quando parecchi anni or sono mi capitò di seguire un lunghissimo e articolato dibattito locale su un classico quesito del genere, ovvero l'ingresso per quanto programmato e partecipato di un soggetto della grande distribuzione in un tessuto locale, al tempo stesso consolidato ma in crisi di obsolescenza. A parte qualche marginale episodio, qui non si manifestava quella cultura del NO, e le resistenze al classico atterraggio dell'astronave commerciale avevano immediatamente assunto un profilo politico-sindacale: quali potevano essere i costi locali di quella grande trasformazione, a fronte dei benefici (promessi dagli interlocutori e continuamente verificati e discussi)? Si accumulavano vari progetti di realizzazione urbanistica, studi di impatto, iniziative pubbliche collaterali e di categoria, richieste di diversi adattamenti del progetto e del programma economico, coinvolgimenti nelle decisioni, contropartite ambientali. E finalmente fuori città, attorno allo svincolo autostradale, iniziarono discretamente a spuntare i simboli del cantiere.

Che guardato con una certa attenzione assomigliava davvero alle cose intraviste nei rendering degli architetti, anche se in realtà il tutto visto così pareva proprio molto più grosso e ingombrante di quanto non apparisse in quelle vedute da architetti a colori con le bandierine e i deltaplani nel cielo. Ma quando pareva che la cosa avesse imboccato la traiettoria finale, quando già si intravedevano oltre le barriere i parcheggi disegnati a terra, qualche aiuola perlomeno disegnata coi cordoli, tutto rallentò di colpo fino a bloccarsi del tutto. Era successo che «fuori» da tutto quel discutere locale si fosse manifestato il mitico meccanismo della concorrenza, ovvero del mercato a cui tutti fanno sempre riferimento retorico, vuoi inneggiando vuoi maledendo con tutto il cuore. Su uno scacchiere più ampio di operatori commerciali e investimenti macroregionali, un altro analogo formato insediativo aveva trovato una comunità meno restia ad aprirgli incondizionatamente le porte, e nel giro di pochissimo tempo si erano chiusi i cantieri, iniziata la promozione pubblicitaria su vasta scala, svuotato di prospettive economiche il concorrente, che distava venti minuti scarsi di automobile, con riferimento al medesimo territorio e clientela. Chi aveva vinto? Difficile dirlo.

Nel secondo caso, quello del concorrente, il SI incondizionato della comunità significava per esempio una radicale trasformazione del territorio, da agricolo a commerciale, e una riduzione del centro abitato ad appendice minore di un poderoso complesso di retailtainment, mentre là dove le trattative erano andate per le lunghe quella variante urbanistica aveva riguardato una zona già urbanizzata, senza particolari stravolgimenti nel rapporto con la città, salvo forse completare un processo iniziato con altre attività industriali. C'erano però gli aspetti socioeconomici: in un caso vera e propria esplosione occupazionale, di riuso e ripensamento delle attività esistenti dentro e fuori l'abitato, di sostituzione sociale e nuovi comportamenti e aspettative. Nel secondo aveva vinto volente o nolente il sospetto, la conservazione, e perso chi cercava una «modernizzazione senza fratture» evidentemente impossibile, ma in cambio forse si poteva dire di aver conservato territorio, e guadagnato know-how, magari utilizzabile per costruire qualche idea innovativa locale di sviluppo prima che questa arrivasse di nuovo da fuori scompigliando tutto. La vera differenza, però, non sta forse nel chi ha vinto o perso, quello potrebbe dircelo solo la storia, ma in chi ha praticato o meno qualche forma di dialettica tra il cosiddetto locale e il cosiddetto globale, due dimensioni sempre complementari e mai alternative. Perché i salvatori della patria non esistono, e tutti (nessuno escluso) si fanno sempre e rigorosamente i fatti propri.

La Città Conquistatrice – Sviluppo Locale

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