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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Smart city: non facciamoci prendere in giro

Gli analisti di mercato ripongono una smisurata fiducia, a livello globale, nel concetto di smart city: cose da capogiro, milioni di miliardi di dollari che a partire dai mega-nodi metropolitani mondiali e giù a cascata cambieranno il metabolismo dei luoghi in cui via via si concentrerà gran parte della popolazione. Va sottolineato però che tutte queste innovazioni tecnologiche e organizzative, per cambiare e cambiare in meglio sia il mercato che la nostra esistenza, non devono essere (e non sono affatto, almeno dagli operatori e analisti) concepite in quel modo ristretto e un po' ridicolo che vediamo dalle nostre parti ovvero qualche appalto per una app a migliorare il parcheggio, o un'altra che orienta nelle pizzerie del centro storico. Si tratta invece di una particolare declinazione e convergenza di tecnologie ed ecosistemi, collaborazioni trasversali pubblico-private e intersettoriali, intrecci vari come fra le infrastrutture e l'energia, ad offrire e sviluppare servizi integrati. I campi specifici, come si addice ad analisti di mercato che devono mettere le imprese in grado di prepararsi per tempo, sono generalmente già individuati.

Si è già citato quello energetico, che nonostante la propaganda di certi economisti contabili non vede miracolosamente evaporato il problema petrolifero manovrando al ribasso in borsa, o fracassando enormi territori per spremere le scisti bituminose. Per gli investitori lungimiranti invece energia e smart city sono concetti sovrapposti: settore in enorme crescita basato (parrebbe ovvio, in fondo) sullo sfruttamento migliore di questa risorsa scarsa grazie all'efficienza garantita dal coordinamento. Per esempio è attraverso questi sistemi che, leggi e interventi politici permettendo, si può passare dal potere discrezionale dei grandi conglomerati energetici, responsabili di tanti scempi e abusi, a una produzione a chilometro zero, cioè a una rete affidabile ma alimentata direttamente dai consumatori, magari con autogestione urbana o di quartiere. Se applichiamo ed estendiamo il medesimo concetto agli edifici, alla loro costruzione o adattamento (l'edilizia è tra l'altro uno dei comparti a maggior spreco energetico) l'aggettivo smart si traduce in reti locali dedicate alla massima efficienza nel funzionamento dei fabbricati, sensori, automazione, sicurezza.

Così come l'efficienza è la chiave delle reti energetiche, lo stesso vale per tutto ciò che opera a sistema interconnesso, come il ciclo dei rifiuti, problema enorme che a partire da una semplice fluidificazione potrebbe garantire prima enormi risparmi economici, poi minori impatti ambientali, e in tempi non lunghi una specie di auto-aggiustamento, ad esempio individuando le filiere chiave su cui intervenire prioritariamente. E infine last but not least c'è appunto l'aspetto strettamente politico della questione, che tocca sia gli interessi privati che la capacità e voglia del settore pubblico di capire la sfida: sono in grado i governi, ai vari livelli, di iniziare a investire capitali risorse e aspettative in questa direzione, prima che siano i fatti ad obbligare a farlo, magari un po' in ritardo? Osserva un analista internazionale della Frost & Sullivan: «Certo anche i privati devono decidere e comprendere quale può essere il loro ruolo nel grande mercato della smart city, costruire proprie strategie, individuare alleanze e possibili nuovi servizi e settori di intervento». L'obiettivo, dovremmo ricordarci sempre noi cittadini, e ricordarlo a chi ci rappresenta, è una maggiore abitabilità e giustizia, non certo la soddisfazione di qualche cuginetto hipster nerd che traffica in app, per non schiacciare le cacche di cane sul marciapiede. Quello non è certo un obiettivo smart.

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