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Venerdì, 29 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Il soldato ciclista a sua insaputa

Fare dei paragoni «come se» è un po' semplicione, ma qualche volta risulta utile a chiarire almeno il metodo, la prospettiva di osservazione. E quindi proviamo il come se: come se un normalissimo cittadino, normalissimamente fedele di una certa religione, filosofia, credo, senza particolari fanatismi o estremismi, in un luogo pubblico improvvisamente vi aggredisse perché avete addosso un simbolo offensivo, apertamente aggressivo. 

Naturalmente voi non avevate idea di averlo addosso, il simbolo provocatorio, un particolare dell'abbigliamento, un segnetto qui e là, roba comprata senza farci caso al grande magazzino, ma ecco che fa scattare la reazione inattesa, sgradevole, un po' violenta. Perché? Non certo a causa del segno in quanto tale, ma dopo che qualcuno l'ha usato e sventolato a vostra insaputa (oppure lo sapevate ma non credevate si arrivasse a quel punto) come vessillo dei fatti propri, in qualche modo arruolandovi per una battaglia che non sapevate neppure fosse stata dichiarata. È successo, e ancora succede, con le biciclette. Vorremmo che smettesse di succedere. E vediamo come.

Si gira per la città e per le periferie, pedalando come sempre, col sole o con la pioggia, andandosene per fatti propri, finché non si incontra l'inusitato nemico, l'inaspettato nemico. Capita che si stiano percorrendo a passo d'uomo pochi metri di largo marciapiede, quelli che raccordano il solito spezzone di percorso ciclabile non collegato con l'altro, e la signora (che non hai neppure sfiorato, manco le hai mosso l'aria attorno) te ne strilli di tutti i colori, che le biciclette devono stare sulla strada, che il marciapiede è dei pedoni e compagnia bella. Mentre lì accanto, giusto davanti ai tavolini del bar trendy, sta parcheggiata una fila di moto e scooter che di certo non ci sono arrivate calando dal cielo: come, se non percorrendo proprio il medesimo tratto di marciapiede incriminato? Ma invece sei tu, il colpevole. 

Rampogne analoghe, se non scendi dal mezzo trascinandotelo accanto, in uno di quegli attraversamenti con strisce (in genere i geometri ne inventano in media una decina ogni cento metri di pista, quando si incrociano sistemi di rotatorie per auto), dove spesso continui a pedalare proprio per levarti di torno alla svelta da quel punto rischioso. Oppure, e qui il sospetto si fa quasi certezza, se passi col giallo agli sgoccioli, e le auto in attesa di scattare ti sommergono di colpetti di clacson giusto ad attutire l'eventuale battuta «il solito ciclista scemo». E tutto, lo capisci giusto mettendo le cose l'una accanto all'altra, perché tu fai parte di un esercito nemico, nel quale non ti eri mai sognato di arruolarti. Cos'è successo?

È successo che entusiasti, lobbisti, gente che si sente «ciclista» per scelta militanza mestiere, sta cavalcando un po' troppo l'onda, e soprattutto semplificando troppo le cose arruola nei propri ranghi mediatici e di opinione chiunque pedali in giro, appiccicandogli etichette proprio non richieste. C'è tutto un mondo di appassionati del ciclismo, del tutto legittimamente appassionati si intende, quelli che parlano di componenti e accessori, di innovazioni tecniche, o che si trovano la domenica per scampagnate ginnico-simboliche, o passano pomeriggi nel retrobottega del negozio dissertando del più e del meno a pedali. Degnissime persone, appunto, finché a qualcuno non viene in mente di santificare il tutto facendone una mistica politica: le biciclette non inquinano, le biciclette sono il bene, i ciclisti salveranno il mondo, le città, l'universo dall'invasione degli extraterrestri ostili, e così via. 

Anche in quel campo, come già accaduto in altri comparti della «salvezza dell'ambiente e del territorio», si afferma una manciatina di guru tascabili che le sparano grosse da qualche blog o assessorato ad hoc, di solito proponendo e promuovendo infrastrutture dedicate (le smisurate «autostrade della bicicletta» ad esempio, sono una classica sparata del genere), o dichiarando guerra unilateralmente ai soliti automobilisti, senza pensare che in un modo o nell'altro si tratta della quasi totalità della popolazione adulta. E il povero essere umano normale, che pur girando per fatti suoi sulla sua bicicletta tutti i santi giorni non si sente affatto un «ciclista identitario», a cui quel mondo di autostrade pedalanti e retrobottega spettegolanti non dice proprio nulla, si ritrova in trincea, nel perfetto stile armiamoci e partite, bersagliato dagli insulti dei passanti. Se si salva l'universo così, lasciamo anche perdere, dai!

Su La Città Conquistatrice il tema delle Piste Ciclabili parte di solito dalla domanda: ma servono davvero a qualcosa, o a qualcuno?

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