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Venerdì, 19 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

La strada non serve per andare da qui a lì

Quando si pedonalizzano alcune aree dei nostri centri, si limitano le velocità dei veicoli, si organizzano le carreggiate con arredi in modo da renderle meno simili a una pista da corsa, si è consapevoli di fare una cosa che serve alla sicurezza dei cittadini. Non ci si rende invece conto pienamente di fare anche un'opera meritoria per la loro salute, cioè di difenderli anche dalle aggressioni di qualcosa di più subdolo dell'insinuante cofano di un'auto che ti urta mentre stai attraversando la strada. Questo qualcosa è la normale vita di relazione e movimento attraverso la città che ci è stata sottratta da oltre un secolo di progettazione meccanica dello spazio. Proprio così: tutte le chiacchiere attorno al cittadino, ai suoi diritti, alla centralità dell'uomo, sono di fatto negate quando la cultura dominante ci leva sistematicamente il mondo da sotto i piedi, per destinarlo ad altro.

La colpa non è affatto delle automobili, ma della medesima logica meccanica dentro cui esse si inseriscono, e di cui si alimenta da sempre forse senza rendersene pienamente conto la città moderna. Il metodo, in vigore ufficialmente da almeno duecento anni (ovvero ancor prima che comparissero il treno o il tram, altro che automobili) consiste nell'accettare, anzi nel prescrivere per legge, che un certo spazio standard debba essere privato, quindi impermeabile, inaccessibile a chi non ne ha specifico diritto o permesso. La tecnica, banale fino a non essere quasi percettibile, è quella di ridurre il ruolo della strada a percorso di comunicazione da uno di questi ambiti privati all'altro e così via. Il modello base è quello della città americana, che forse graficamente può assomigliare all'antico campo romano col suo tracciato a scacchiera, ma è concettualmente il frutto di una riflessione che oggi chiameremmo neoliberista: il mondo è ritagliato in quadratini tutti indistintamente a disposizione del mercato e del migliore offerente, che hanno dimensioni per nulla umane, ma calcolate su una certa massa critica di investimento.

Dentro quel sistema si inseriscono poi le case, le fabbriche, gli uffici, eventualmente anche il “regalo” pagato con denaro sonante di una piazza o di un parco pubblico, eccezione alla regola. Niente a che vedere con l'antico reticolo capillare di un centro storico, dove è il sistema di vie, piazze, vicoli, zone verdi aperte o cortili a orti, a definire la forma urbana. E dove un essere umano si muove a proprio agio qui e là, sosta, procede, non necessariamente sparato alla massima velocità verso uno dei tasselli del mosaico. Oggi con l'automobile anche il minimo ruolo umano e sociale ancora occupato da quelle strade/condotto tende a venire meno, e qualcuno si accorge della necessità di far qualcosa, appunto recuperare il senso profondo di certe città antiche cresciute organicamente anziché meccanicamente. Ma non si tratta solo di una questione estetica, psicologica, di principio o altro: ha a che vedere direttamente con la nostra salute, questo riequilibrio fra spazio pubblico e privato, e lo dimostrano infinite ricerche scientifiche sul rapporto fra organizzazione urbana e determinate patologie.
 

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