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Venerdì, 19 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Superstizioni pseudo-scientifiche e idee di città

Cos'è la scienza? Per i bambini si tratta di una risposta abbastanza facile: ci sono dei tizi con addosso una palandrana bianca, che trafficano pensosi attorno a qualche fenomeno naturale o artificiale chiuso ad hoc dentro un controllabile laboratorio, e guardano che succede, magari prendendo qualche appunto, prima di uscire ad annunciare al volgo la loro geniale pensata: bolle l'acqua! E come spesso accade quella dei bambini in fondo è una intuizione esatta, salvo che bisogna capire bene a che serve il camice, come è fatto il laboratorio, e come si prendono gli appunti. Detto in altre parole, quanto funziona il metodo, quali domande ci si pone (le dimensioni del laboratorio o del campione), quanto ci si protegge (il camice contro le macchie) da pregiudizi e condizionamenti, come si gestiscono le montagne di appunti, propri e altrui (la convegnistica, le pubblicazioni, la divulgazione in genere). Perché altrimenti è facilissimo cadere nell'errore spontaneo e infantile, su cui conta certo mercato economico, politico, culturale, di confondere la forma con la sostanza. Come succede quando per esempio andiamo a fare manutenzione specializzata in certi centri, dove ci accolgono un ambiente asettico a luci fredde, e dei tizi in candida divisa: sono scienziati, usano un metodo scientifico, ascolteranno le nostre domande come si meritano? Niente affatto, stanno solo scimmiottando.

La cosa non è grave, una volta capito il trucco, quando riguarda ambienti dichiaratamente esterni al campo propriamente scientifico, come quello di un laboratorio riparazioni del tipo citato. Diventa invece più seria se nello scimmiottamento ci cascano gli scienziati stessi, scordandosi le regole elementari del loro lavoro. Accade ad esempio con «teorie» che non sono affatto tali, cioè che partono da presupposti già sballati, e poi seguendo semplicemente le forme della comunicazione pseudoscientifica (gli «appunti» ammucchiati un po' a caso) si auto-verificano per cortocircuito. Finché qualche San Tommaso va a metterci il dito, facendo crollare miseramente tutto il castello di cartacce: succede di questi tempi con la cosiddetta Teoria della Assimilazione Spaziale sociologica urbana, di cui colpevolmente non conoscevo neppure l'esistenza fin quando non ne ho letto in un interessante saggio sagnalatomi per altri motivi dall'amica ricercatrice Sara Spanu dell'Università di Sassari: Karyn Lacy, «The New Sociology of Suburbs», Annual Review of Sociology. Vol. 42, luglio 2016. Una rassegna molto ricca di riferimenti scientifici, dalla seconda metà del '900 ai nostri giorni, che parte criticamente da una «scoperta»: gli sterminati quartieri delle villette e degli steccati bianchi non sono affatto quel che si pensava, non lo sono mai stati, né mai lo diventeranno. Una scoperta recente, attribuita perlopiù ai demografi della Brookings Institution di Washington, e brevemente riassumibile nello slogan «povertà suburbana».

Ora, cosa c'è di tanto speciale nello scoprire l'esistenza della povertà? Nulla, salvo appunto la sorpresa, perché questo contrasta con la citata Teoria della Assimilazione Spaziale, che val la pena riassumere in tutto il suo sognante idillio da Sogno Americano delle cartoline illustrate. Premessa: tutta l'umanità sogna di vivere in un mondo fatto di steccati bianchi, grigliate del sabato sera, lunghe file di macchine dei maschi capofamiglia che vanno a lavorare ogni mattina, mentre le casalinghe li salutano dal cancelletto di ingresso, preparandosi ad accompagnare i bambini a scuola. Per raggiungere questo ideale umano, però, bisogna impegnarsi a raggiungere una certa soglia di reddito, e quindi tutta quella parte di umanità che ancora non vive così, sta in una fase intermedia, ci prova con più o meno convinzione, magari ha rinunciato, e non si «integrerà» mai. Il cammino però è quello, se vuoi far parte della società, se vuoi esserne membro a tutti gli effetti, devi seguire e sognare quel percorso verso l'orizzonte della villetta suburbana da manuale. Sto semplificando al massimo, ma in fondo è quello, il senso della Teoria. Ma sarà davvero una teoria, oppure soltanto una svista? Ovvero: hanno senso quelle montagne di studi che la prendono per buona e valutano tutti i comportamenti insediativi-abitativi (diciamo dagli anni '50 del XX secolo in poi) su quella base? Oppure qualche scienziato si è convinto che basti indossare un camice e far la faccia seriosa, per produrre conoscenza degna di quel nome? Guardando ciò che il più bieco conformismo consumista indicava come sostituto della felicità e della realizzazione personale, notando che erano in tanti a seguire quel percorso, e trasformandolo miracolosamente in destino ineluttabile e obiettivo politico legittimato? E bollando di eresia, implicitamente, chi non si «integrava spazialmente» continuando ad abitare felice altrove, in un normalissimo condominio sopra una bottega di salumiere? Non paiono domande da poco, queste sulla serietà degli scienziati, visto che dicono di svolgere un ruolo sociale essenziale e chiedono sempre nuovi fondi.

Limitatamente ai processi di Suburbanizzazione, su La Città Conquistatrice molti articoli e riferimenti provano ad andare oltre il folklorico, per quanto travestito da camici bianchi e ricette infallibili 

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