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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Tempo della metropoli, tempo dell'essere umano

L'immagine classica della modernità è quella dell'omino di Charlie Chaplin, che mentre segue i propri ritmi di vita e pensiero viene travolto da quelli assai più veloci e potenti della macchina, e risucchiato tra gli ingranaggi. Immagine fortissima e pervasiva, che però sull'arco di più generazioni ha finito per comunicare solo una piccola parte della verità: il tempo della metropoli è infinitamente più rapido di quello dell'essere umano. Vero? Niente affatto, come possiamo constatare praticamente da sempre.

L'esempio più classico sono le grandi «trasformazioni schematiche» legate alla crescita: solo urbanisti e geografi le leggono forse in tempo reale, mentre nella percezione comune in pratica non esistono affatto, troppo lente a manifestarsi rispetto ai ritmi di vita, salvo alla fine risultare di colpo evidenti e traumatiche.

Quello che invece leggiamo benissimo sono i sintomi, di quelle grandi trasformazioni, ad esempio il disagio per singoli parzialissimi cantieri, o la porzione del tutto lasciata a galleggiare nel tempo (soggettivamente lunghissimo) che impiegano a crescere le altre porzioni. L'effetto a ben vedere è addirittura peggiore dell'accelerazione che risucchia l'omino di Chaplin, perché se pur sforzandoci e stressandoci qualche volta ci riusciamo, a «correre come la macchina», risulta difficile, impossibile rallentare, fermare il tempo, sopravvivere all'eternità.

Un esempio classico, e forse più efficace della vita di singole persone, sono i negozi, dotati di propri ritmi economici facilmente riassumibili nell'entrata e uscita di prodotti e servizi, flusso che viene devastato e interrotto dall'interferenza di un sintomo di trasformazione, il cantiere. Rallentamento minore, maggiore, o addirittura morte apparente, a seconda dei tempi e dimensioni. La grande trasformazione sui tempi lunghi si può esprimere nel banale rifacimento di una facciata (perché quel quartiere si sta gradualmente riqualificando) che rende meno visibili le vetrine e ostacola il passaggio sul marciapiede.

Oppure ci sono, invece o inoltre, lavori stradali, posa di cavi e condotte, manutenzioni pesanti varie, si allarga lo spazio stravolto e si allungano i tempi dei flussi persone-merci-servizi. Infine il caso peggiore, quello della grande opera urbana: mesi, stagioni, anni di flusso commerciale menomato o interrotto, che in moltissimi casi equivalgono a una cancellazione dell'attività commerciale. Il che dal punto di vista del metabolismo metropolitano è un battito di ciglia ininfluente: quella saracinesca si rialzerà «più bella e più forte che pria» a lavori conclusi. Ma provate a spiegarlo all'esercente, con le sue esposizioni in banca, i conti da pagare, le previsioni tutte sballate. Sono tempi incompatibili, e l'hanno ben capito anche le amministrazioni locali quando fanno i conti (economici e non) di questa discrasia, mettendo in campo vari tipi di interventi e politiche «ammortizzatrici».

Ci sono inciampato anch'io tante volte, da piccolo essere umano senza neppure un negozio, in questa sfalsatura temporale tra le grandi trasformazioni e i lori sintomi, che fanno a pugni con la vita quotidiana, addirittura con la vita in senso lato. L'ultima volta un paio di giorni fa rienv trando a casa la sera da un lungo giro in bici, e trovandomi di colpo (come succede ahimè spessissimo in quel posto) la strada totalmente sbarrata.

Il tipo di «cantiere» era però del tutto particolare: automobili parcheggiate là dove non dovrebbero assolutamente stare, ma di fatto obbligate a farlo dall'assenza di alternative. In pratica, una pista ciclabile costosissima, nonché unica possibilità di scavalcare una barriera autostradale, era completamente invasa da decine di veicoli in sosta, obbligando pedoni e ciclisti a uscire dal percorso dedicato, e scavalcando laboriosamente qui e là facendosi largo tra i cofani, cercare di imboccare la rampa ancora libera e non del tutto ostruita.

La razionalità della pubblica amministrazione, in quel caso specifico è evidente: si tratta di un assetto provvisorio, c'è una grande trasformazione in corso, sia i parcheggi che i percorsi sono incompleti, dobbiamo aspettare l'assetto definitivo per capire il funzionamento a regime. Ok, ricevuto: ma chi deve parcheggiare ora?' Chi deve passare a piedi in bicicletta, con una sedia a rotelle ora? Pianta una tenda e aspetta fiducioso qualche anno? Si arrangia da furbo come può? (come di fatto le auto, sempre messe in cima alla gerarchia in qualche modo). Non sarebbe il caso di affiancare molto seriamente, all'idea di assetti finali definitivi, anche un piano di assetti provvisori accettabili, e soprattutto non improvvisati? Parrebbe del tutto ragionevole, e preciso compito di una politica pensata per esseri umani, e non per categorie dello spirito.

Su La Città Conquistatrice, la Riqualificazione Urbana https://www.cittaconquistatrice.it/tag/riqualificazione-urbana/

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