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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Uova di serpente

Correva l'anno 2005 e il mondo urbanistico discuteva (già allora) di quanto fosse inaccettabile, probabilmente anticostituzionale, sicuramente micidiale, la proposta dell'astro nascente del centrodestra Maurizio Lupi, per una legge quadro sul governo del territorio che il territorio non intendeva governarlo affatto, ma consegnarlo nelle mani di interessi particolari, nella certezza che grazie alla mitica mano nascosta del mercato quegli interessi diventassero poi magicamente generali. Un modello di sviluppo che forse traduceva male a bella posta dall'inglese development, che significa invece, quando si tratta di territorio, prevalentemente trasformazioni edilizie. Lo si capiva da certi progetti e strategie ampiamente visibili mentre si dispiegavano sul territorio lombardo coi grandi progetti infrastrutturali, in testa la Bre.Be.Mi. di cui si poteva dire di tutto, tranne che servisse a collegare Brescia con Milano.

Serviva invece, come le altre apparentemente strampalate autostrade lombarde, la Cremona Mantova o la Broni-Mortara-Stroppiana, a portare lo sviluppo del territorio in quello che il geografo Eugenio Turri aveva battezzato il cuore verde della megalopoli padana, ovvero un po' più a sud dei classici sbocchi di valle su cui si attestavano da sempre le aree urbane, e iniziare a rafforzare quel sistema lineare diffuso, esteso fino alla pianure veneta, da sempre vagheggiato sin dall'epoca democristiana. Che l'autostrada “inutile” fosse invece assai utile proprio a quello scopo, lo si capiva al volo facendosi un giro per le campagne, o sfogliando i giornali locali, o quando possibile seguendo lo sviluppo dei piani urbanistici locali. Per così dire, il grande serpente autostradale iniziava a spargere le sue uova in abbondanza prima ancora di uscire dal tavolo da disegno: scatoloni di nuove zone industriali, scatolini di lottizzazioni residenziali, e naturalmente le classiche amebe dei centri commerciali, più o meno ovunque qualche imbonitore di lingua sciolta riusciva a convincere i gonzi di turno.

Il più surreale di questi ovetti commerciali di serpente stava in un posto del tutto inimmaginabile, in mezzo alle campagne campagnole che più campagne non si può, solcate per l'occasione da una centuriazione stradale che faceva intuire abbastanza bene le mire dei promotori. Evocativa anche la relazione dell'architetto progettista, che forse guardando in una sua personale sfera di cristallo scriveva di “esperienza urbana” per un posto in cui era indispensabile saltare in macchina per sperare di vedere, e dopo parecchi minuti di guida, il vago profilo di un campanile spuntare sul remoto orizzonte. Le Acciaierie lo chiamarono in onore di un impianto dismesso che c'era stato da quelle parti, e che in fondo nobilitava l'operazione facendo straparlare di recupero di superficie dismessa. Architetture surreali che spuntavano dai campi come certe astronavi dei vecchi film di fantascienza, e per l'inaugurazione furono chiamati coerentemente, a contraddire la famosa esperienza urbana, i Cugini di Campagna. Dopo un brevissimo interesse dei cosiddetti consumatori, vuoi perché di baracconi così ce n'erano ovunque, vuoi perché quando è troppo è troppo, il posto iniziò a vivacchiare, anzi diciamo pure ad agonizzare senza dar troppo nell'occhio.

Oggi, come ci raccontano i giornali, l'entrata ufficiale nel coma profondo: il serpente della Bre.Be.Mi. passa, qualche chilometro a sud di quegli ettari inopinatamente strappati all'agricoltura, ma di clienti per i negozi sempre più rarefatti non ne porta, su quelle corsie sempre deserte. E l'ipermercato anchor-store getta la spugna, adesso per tutti gli altri si tratta solo di ritirata strategica e Ko tecnico. Triste, per chi già allora avvertiva dell'insensatezza di tutto quel modello di cosiddetto sviluppo del territorio, constatare di aver avuto ragione. E ancor più triste notare che nessuno coglie il nesso che lega tutta la faccenda: l'autostrada, gli scatoloni a varie e fantasiose destinazioni del tutto fittizie, e la “colpa del mancato decollo” via via affibbiata a questo o quello, oltre che naturalmente alla solita crisi. Perché non un complotto delle scie chimiche? Il fatto è che, di tutto il meccanismo, non sta ormai in piedi più nulla, come non è mai stato in piedi: lo sprawl, come ci insegnano da oltreoceano, è cosa morta e sepolta. E tutto, pare, per colpa dei telefonini.

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