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Giovedì, 18 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Nuovi diritti: l’Usucapione Urbanistica

C’erano una volta le polemiche sulla cosiddetta «urbanistica contrattata» iniziate più o meno quando in tutto il mondo si sproloquiava di fine della storia, inesistenza della società, trionfo del libero mercato e tramonto delle ideologie, con particolare riguardo a tutte quelle che non piazzavano al primo posto i diritti dell’individuo a fare quel che più gli pareva e piaceva.

La cultura politico-amministrativa della sinistra tradizionale trovava aberrante che, a fronte di una idea di urbanistica di iniziativa pubblica dove i singoli progetti di trasformazione si inquadravano dentro piani generali, particolareggiati e norme decise dagli uffici comunali, si considerasse prassi corrente appunto contrattare con un privato anche grandi varianti della programmazione territoriale, nella convinzione che in qualche modo al tempo stesso l'interesse particolare potesse riassumere quello generale, e comunque fosse dotato di legittimità a prescindere. Ma in realtà nei fatti quella prospettiva di osservazione e valutazione delle trasformazioni urbane era cosa nota e corrente sin da quando esistevano i piani urbanistici, se si pensa che solo una parte minoritaria della crescita e riqualificazione dell'esistente avveniva per piani particolareggiati (di iniziativa pubblica), lasciando ampio spazio alle lottizzazioni di iniziativa privata. Si trattava solo di ufficializzare questa realtà.

Le riforme e le nuove tipologie di piano urbano degli anni successivi andarono esattamente in questo senso, producendo in pratica quei quartieri oggi assai noti di Milano dove campeggiano le nuove architetture firmate da star internazionali del settore, ma anche veri e propri desolati deserti urbani là dove evidentemente la Mano Invisibile del Mercato che tutto dovrebbe sistemare, aveva deciso di lasciar perdere. Ci fu addirittura un tentativo di riforma generale della legge nazionale, che se approvato avrebbe introdotto una vera e propria modifica costituzionale: l'urbanistica contrattata obbligatoria in sostanza. Ma anche schivato questo mutamento di paradigma restava comunque il grande spazio conquistato dagli interessi privati nel concepire l'idea di città, almeno per grandi porzioni parziali. Qualcosa di analogo e forse ancora più singolare si è visto di recente con il Master Plan Scali Ferroviari, che in realtà del piano attuativo pur di iniziativa privata pare aver conservato soltanto il nome. Si tratta infatti di una relazione illustrativa in cui, a fronte di rendering e schizzi puramente indicativi (e dichiaratamente tali) di alcune teoriche possibilità di trasformazione fisica degli spazi, la principale cura è di «recintare l'ambito di totale discrezionalità» nelle scelte future di effettiva trasformazione, al variare delle contingenze di mercato. Ma questo dilagare dell'interesse particolare su quello generale pare non avere proprio limiti.

Succede che si verifichi un nuovo balzo logico con l'idea di «usucapione urbanistica» per lo Stadio di San Siro, quella che viene considerata in tutto il mondo la Scala del Calcio. Le due società sportive che lo usano, evidentemente, dopo tanti anni si sono convinte di essere anche proprietarie di tutto il quartiere e di poterne fare ciò che meglio gli aggrada, studiando progettoni, incaricando studi di architettura internazionali, gestendo in tutta autonomia concorsi di idee e annunciando a pezzi e bocconi sulle pagine di cronaca locale «il futuro della città». Il lettore nonostante tutto, nonostante tutte le sparate precedenti, resta comunque perplesso sia per questo metodo di rivendicazione di diritto inventato a capocchia, sia per il merito piuttosto paradossale, o diciamo radicale: lo stadio e gli spazi adiacenti non sono più adeguati ai tempi, occorre ripensare l'intero settore urbano con nuove funzioni, abbattendo l'impianto e ricostruendo un nuovo complesso commercial-sportivo. Il fatto è che tutta questa grandiosa pensata da proprietari assoluti viene fatta da chi proprietario non è: lo Stadio è di proprietà comunale, e il Comune in quanto tale non è stato affatto coinvolto nel progetto (anche se, si mormora, qualche consigliere o assessore ne sa più di altri). L'unica risposta ufficiale sinora pervenuta è quella del Sindaco-Manager: se vogliono comportarsi da proprietari, prima lo diventino, comprandosi per quel che vale lo Stadio, siamo disposti a cederlo. Forse di fronte a un comportamento surreale, anche il Sindaco vuole provocatoriamente contrapporne un altro. Ma come cittadini ci aspetteremmo più politica, più «idea di città», più urbanistica insomma, che sta lì almeno da un secolo a fare quel mestiere. Oppure diciamo che non esiste più, e buonanotte.

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